lunedì 31 dicembre 2018

MONO - Nowhere Now Here: qui e adesso solo per te

(Recensione di Nowhere Now Here dei MONO)


Quando studiavo nell'università un mio insegnante fece un semplice esperimento in classe per farci capire l'importanza della relazione tra suono, e musica, e immagine. Prese la scena di un celebre film di Hitchcock e ce la fece vedere prima senza altro audio che quello dei dialoghi per poi riproporcelo come era stato fatto originalmente. Inutile dire che senza il suono si perdeva un bel 70 percento dell'effetto voluto. Ma oggi il mio interesse è quello di capovolgere un po' questo esperimento o, piuttosto, di farvi riflettere in un altro modo. Immaginatevi di ascoltare un qualsiasi brano di un qualsiasi artista senza associare alcuna immagine a quello che state sentendo. Sono sicuro che per tutti, o quasi, è impossibile fare qualcosa del genere. Musica e immagine avanzano insieme dalla mano con urgenza e necessità. Per quello quanto si scrive non si deve mai perdere di vista le immagine che si dipingono, anzi, bisognerebbe insistere ancora di più in modo che vengano maggiormente esaltate.

Per i giapponesi MONO, veri leader dell'universo del rock strumentale diventa semplicissimo dipingere con la propria musica. Qualcosa che si potrebbe pensare che accada in modo abbastanza naturale perché il genere che hanno scelto di sviluppare è un genere che prescinde dalle "distrazioni" delle parole. Ma un conto è riuscir a evocare immagini, un altro è sviluppare un vero e proprio film nella testa dell'ascoltatore. Nowhere Now Here è il loro decimo album ed è l'ennesimo regalo che la band ci offre. Abituati a adattare la propria musica alle condizioni ottimali per giungere al loro scopo in questo nuovo capitolo la band presenta un cambio sostanziale, aggiungendo come quarto elemento del gruppo il batterista Dahm Majuri Cipolla, e modifica anche parte della loro capacità musicale aprendo la porta all'elettronica. Tutto quanto viene fatto, però, senza stravolgere la strada che hanno sempre percorso. Il risultato finale è intenso, luminoso, emozionante e mutevole. All'interno di questo lavoro veniamo attraversati da una serie di emozioni infinite, come se ciascuno di noi diventasse il protagonista di questo film sonoro e vivesse tutte le emozioni, le tensioni, le paure e le speranze che la band costruisce con la loro musica. Perché se qualcosa deve rimanere subito chiara è che c'è un'infinità di paesaggi emotivi che si susseguono rispettando uno sviluppo narrativo ben studiato. Ma non è solo quello, perché in un certo modo non è eccessivamente difficile riuscire a raccontare una storia con la musica. La complessità e bellezza di questo disco sta nel fatto che la band abbracci una scelta sonora-fotografica determinata. In altre parole è come se un regista si affidassi a un determinato direttore di fotografia che lavora in modo assolutamente particolare per aggiungere altro al suo proprio film. Molto probabilmente risulta intuibile che l'estetica e la scelta dei tempi corrispondano a quelli della scuola e filosofia nipponiche. 

Nowhere Now Here

Nowhere Now Here è un thriller noir giapponese. Come spesso capita con i capolavori diventa tanto importante la storia quanto tutto il sotto testo che si svela progressivamente. I MONO lo sanno. Sanno che quello che hanno costruito va molto più in là del mettere insieme una serie di canzoni che traducono dei momenti particolari di questa storia. Non si tratta neanche di individuare certi sentimenti e capire quale siano le tonalità e le direzioni da prendere per evocare al meglio quello che si sta raccontando. Sanno che la chiave del successo, o della realizzazione, si cella nell'insistere su certe idee attraverso d'immagini sonore che diventano così presenti da circondare l'ascoltatore che non è più un semplice ascoltatore-osservatore ma entra nel vivo della storia. Ben poco importa se quello che viene raccontato sia vicino o lontano dalle sue vicende. Perché quello che interessa sono i sentimenti, i legami che possono essere creati soltanto attraverso la capacità di far riflettere e di ritrovare aspetti più meno simili come intensità emotiva con quelli che vengono sviluppati. E tutto quanto senza parole, o quasi, perché un'altra particolarità di questo lavoro è che per la prima volta la bassista Tamaki canta un brano, emulando, in un certo modo la celeberrima Nico. A questo punto sorge spontanea, e in modo importante, una domanda: perché includere un brano cantato? La mia è solo una tesi ma credo che il perché vada cercato nel volere aggiungere un elemento in più a questa creatura. Un tocco di eleganza nostalgica, una carezza del vento, un soffio caldo in una notte fredda. Grazie a quel brano si aggiunge una grande delicatezza a tutto quello che viene raccontato. 

Il titolo di questo lavoro, Nowhere Now Here, è anche illuminate. Le storie importanti hanno luogo in un mondo inesistente, Nowhere, ma prendono vita in modo individuale per ognuno in un momento preciso, Now Here. Questa storia è una storia senza tempo e con tanto tempo. E' una storia da fare propria, come capita con i film dell'anima. Che importa se l'interpretazione che hai dato è diversa da quella di tutti gli altri! L'importante è che sai che quello che hai appena visto, e che rivedrai con grande piacere svariate volte, fa parte di te, ti ha arricchito e illuminato. Questa è la riuscita fondamentale dei MONO che ancora una volta dimostrano di essere maestri in quella delicatezza che riesce a circondare tutti quanti, senza alcuna forzatura, senza alcuna imposizione. 

Mono

Prendo tre brani che esemplificano fedelmente quello che ho cercato di spiegare in precedenza.
Il primo è Breathe, il brano cantato del quale avevo accennato prima. Sembra una voce irreale, una vicenda che si fatica a capire se è vera o frutto della propria immaginazione. E la voce diventa il centro fondamentale, tutto gira intorno ad essa, tutto viene alimentato da essa, tutto fa crescere essa. potrebbe sembrare una pausa in mezzo alle emozioni precedenti e successive ma non lo è. E' una chiave senza la quale diventa impossibile entrare nelle stanze che vogliamo assolutamente conoscere.
Il secondo è Far and Further. Credo che grazie a questo brano si riesca a capire abbastanza bene a cosa mi riferisco con la delicatezza che il gruppo riesce a portare avanti con la sua musica. Tutto diventa progressivo, come in una sessione di meditazione. Ogni nuovo respiro permette di addentrarsi ulteriormente in un mondo che finisce per essere molto diverso da quello che era prima. Non ci sono forzature ma improvvisamente ci si rende conto di essere arrivati quasi senza sapere in un luogo, fisico e dell'anima, assolutamente nuovo. Bellissimo, malinconico, perfetto.
Il terzo è Sorrow. E credo che grazie a questo brano si riesca a capire molto altro. Questo non è un disco felice, non è un disco luminoso, ma il modo nel quale la band riesce a parlare e occuparsi di questi sentimenti cupi è da dieci e lode. Il dolore diventa saggio. Non è uno shock ma un elemento fondamentale della vita come tanti altri. Tutti siamo destinati a soffrire prima o poi, tutti abbiamo dei dolori e questi sono interni, sono privati, sono motivo di rispetto. Ecco, in questo brano tutto ciò viene fuori. Perché prima lo si accetta prima si cresce.


Nowhere Now Here dà, come avete visto, tutta una serie di letture che potrebbero essere ancora molte altre se ci si dedica ad ascoltarlo ancora più attentamente e ripetutamente. Perché è un disco saggio costruito con la maestria di chi si ha un ruolo unico dentro al mondo del rock strumentale. Non è soltanto che i MONO l'hanno rifatto, è che i MONO ci hanno regalato un altro capolavoro forse inarrivabile. 

Voto 9/10
MONO - Nowhere Now Here
Pelagic Records
Uscita 25.01.2019

domenica 30 dicembre 2018

Fearrage - Songs from the Sorrow: l'evoluzione del disaggio

(Recensione di Songs from the Sorrow di Fearrage)


Una delle ambizioni maggiori, inseguite da sempre dall'uomo, è quella d'indovinare il futuro. Sin dall'antichità si venerava le figure che erano in grado di comunicare cosa sarebbe avvenuto nel futuro. Ormai questi personaggi non esistono quasi più ma in tutti i campi si apprezza chi riesce a formulare delle ipotesi che poi si rilevano la verità. Io non sono un indovino ne vorrei esserlo e non so cosa ci aspetta nel mondo della musica, infatti trovo molto più affascinante vedere che direzione prende tutto spontaneamente. Posso, invece, vedere qual è il percorso che la musica, soprattutto quella che mi piace, ha preso negli ultimi 30 anni, e mi sembra veramente interessante vedere che molte cose sono rimaste più o meno simili o riscattano uno spirito antico che sembra non essere mai mutato.

Andando oltre a l'osservazione che ho appena fatto credo che se certe cose sono rimaste immutate è per via del modernismo che hanno sempre presentato, come se fossero riflesso di un mondo che non è cambiato e che risponde, in gran parte, agli stessi concetti di qualche anno fa. Per quello ascoltando Songs from the Sorrow dei finlandesi Fearrage viene fuori l'impressione di ascoltare una serie di canzoni che perfettamente potevano essere state scritte vent'anni fa ma che allora come adesso suonano attuale e fedeli al riflesso del mondo che viviamo. E' impossibile, dunque, sottrarsi a una riflessione un poco più profonda sul perché di questo risultato. Indubbiamente nessuno riesce a scrivere musica senza avere almeno la minima influenza di quello che vive tutti i giorni, del suo intorno, dell'andamento del mondo, di come cambia tutto. E anche se magari sono passati molti anni credo che la vita del mondo dal 2000 in poi abbia molte similitudini e molti aspetti che sono rimasti sempre uguali. C'è sempre una costante tensione, un timore che si trasmuta in terrore che sostanzialmente diverso a quello che c'era prima. Non sono più guerre mondiali che impattano tutti ma è la paura di vivere uno nuovo genere di guerra, una guerra che tocca qualsiasi individuo, nessuno escluso. Per quello guardiamo con sospetto tutto e tutti, per quello ci chiudiamo nella nostra vita sociale buttando online la nostra esigenza di rapporti umani imprescindibili.

Songs from the Sorrow

Arrivati a questo punto più di qualcuno potrebbe dire che non ho minimamente parlato di Songs from the Sorrow ma invece è così. Sebbene non ho ancora descritto informazioni che possono essere utili, come il fatto che questo è il secondo EP degli Fearrage, o come il fatto che la proposta portata dalla band sia un interessante insieme di melodic death metal con sfumature di thrash metal con qualche aspetto groove metal, credo che ho descritto quello che è l'anima di questo lavoro. Il dolore inteso come disaggio, come l'urgenza di sfogare, utilizzando la musica, di dire quello che si vede e si sente. E anche se al mondo sono cambiate certe cose molte cose che sono alla base di quel disaggio continuano a essere le stesse in questi ultimi 20 anni. E' come se l'umanità non potesse mai fare a meno dei suoi demoni, che non vengono mai eliminati ma mutano continuamente. Per quello nascono nuove modalità criminali, nuove droghe, nuove malattie psichiche. Per quello l'urlo di questa band è un urlo che può essere condiviso da parecchie persone. E per quello questo è un EP che funziona bene oggi come avrebbe funzionato bene ad inizio secolo.

La lotta principale diventa quella tra quello che suona vecchio e quello che tutt'ora è assolutamente attuale. Songs from the Sorrow è un lavoro che appartiene alla seconda categoria. Non importa che le scelte sonore non siano modernissime, non importa che non ci siano aggiunte sonore rivoluzionarie, la proposta dei Fearrage è spontanea e assolutamente gradita perché diventa un riflesso di quello che viviamo, di quello che ci limita nella nostra idea di come raggiungere un certo tipo di felicità.

Fearrage

Trattandosi di un EP di solo quattro canzoni approfondisco solo una di esse.
Ho scelto il brano d'apertura, The Day When Sun Fell Down. Musicalmente i riff di chitarra svelano immediatamente la natura della band, quell'influenza marcata del melodic death metal. Il brano si sviluppa dritto, con una logica simile a quella di tanti capi saldi di questo genere. Funziona, è trascinante, invoglia l'ascoltatore a sapere cosa ci sarà dopo. E' un'evoluzione naturale che s'inonda, che cresce, che tocca vette epiche, come se narrativamente si trattasse di un racconto che viene divorato dagli occhi curiosi di chi legge.


Songs from the Sorrow potrebbe essere visto come un termometro del mondo (non solo questo EP ma l'essenza che si racchiude dentro e che è anche presente in altri lavori). Se queste quattro canzoni proposte dai Fearrage continueranno a essere un fedele riflesso del mondo vorrà dire che nulla è cambiato, se invece improvvisamente sembrerà vecchio vorrà dire che finalmente il mondo ha dato un passo in avanti. Voi quale alternativa vedete come possibile?

Voto 7,5/10
Fearrage - Songs from the Sorrow
Inverse Records
Uscita 28.12.2018

venerdì 28 dicembre 2018

Top 10 Album 2018

Lettere dall'Underground


Come di consuetudine mi fa molto piacere condividere con voi quello che musicalmente mi ha lasciato un segno maggiore in questo 2018. Questo, a livello personale, è stato un anno dove, per motivi lavorativi, non sono riuscito a stare dietro a tutte le uscite discografiche che avrei voluto. In tutti i casi sono diversi i lavori che ascolto e riascolto con grandissimo piacere e che dimostrano che la musica è una macchina che non si ferma mai.
Fare questi elenchi non è mai semplice e la scelta di escludere dei dischi eccellenti non è facile d'affrontare ma filtrando e filtrando credo di essere riuscito a stilare un bell'insieme di musica variopinta che, forse, a in comune la voglia di regalare qualcosa di nuovo, sia come genere, sia come riflessione. Ecco a voi la mia Top 10 Album 2018.


Earth Made Flesh

  • N°10 Wyrmwoods - Earth Made Flesh
Come in ogni elenco servono degli outsiders e quello per eccellenza è questo disco. Un lavoro dove i limiti non esistono. Cosmico, pazzo, psichedelico e, soprattutto, avanguardista.
(la recensione completa la trovi qui)


Sedation

  • N°9 Rotting Sky - Sedation
Se il disco anteriore era a tutti gli effetti un lavoro "outsider" per motivi molto diversi anche questo non è da meno. La magia che permette la presenza di questo lavoro in questa classifica è il fatto che ha in sé una capacità rarissima, cioè generare la bellezza dal caos.
(la recensione completa la trovi qui)


Vaitojimas

  • N°8 Erdve - Vaitojimas
Un mix ricercato che funziona alla perfezione. Un'opera prima che sembra figlia di tanta esperienza ma che, forse, alla sua chiave nell'essere spregiudicata. Un disco da divorare.
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shouldhavebeens

  • N°7 Tengil - shouldhavebeens
Chi è assiduo lettore di questo blog sa che se c'è qualcosa che cerco sempre di fare è di avere un'apertura mentale che si estenda, musicalmente, a diverse proposte. Per quello non c'è da sorprendersi se un disco appartenente all'emocore fa parte di questo elenco. Questo è un lavoro dissacrante ed emozionante.
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Marrow

  • N°6 Madder Mortem - Marrow
Una band che cavalca la scena del progressive metal da anni e dopo 8 anni di silenzio torna a farsi sentire con autorità è già una gran bella cosa. Nel caso di questo gruppo sembra che il ritorno non sia stato solo un modo per rimettersi in carreggiata ma anche per affinare un sound proprio che trova in questo loro secondo disco dopo il silenzio la loro miglior versione di sempre.
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Into Dark Science

  • N°5 Phantom Winter - Into Dark Science
Un disco dissacrante. Un urlo misurato che improvvisamente sfugge al controllo. Una dimostrazione di forza di una band che confeziona uno dei lavori più interessanti di quest'anno.
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A Ring of Blue Light

  • N°4 Hemelbestormer - A Ring of Blue Light
Questo è l'unico disco strumentale presente in questa classifica. Il perché è molto semplice. Più di qualsiasi altro disco di post rock, post metal o generi affini questo è quello che riesce a raccontare di più e a catturare l'attenzione dell'ascoltatore. Un gioiello.
(la recensione completa la trovi qui)


Phanerozoic I: Palaeozoic

  • N°3 The Ocean - Phanerozoic I: Palaeozoic
Il gradino più basso del podio viene occupato da questa magnifica opera, prima parte di un nuovo capitolo della band più vicina all'archeologia che ci sia. Ho ascoltato questo disco decine di volte ed ogni volta migliora e non stanca, dimostrazione che si tratta di un lavoro da tenere assolutamente a casa.
(la recensione completa la trovi qui)


Mother Culture

  • N°2 Avast - Mother Culture
Forse il disco più sorprendente di quest'anno. Un blackgaze colto, intenso, intelligente, emozionante. Il debutto sognato per una band che farà molto parlare di sé stessa. 
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Great Escape

  • N°1 Crippled Black Phoenix - Great Escape
Ogni anno diventa fondamentale che nascano dei nuovi classici, dei dischi che permettano di capire com'era la vita in quel momento anche alla distanza di molto tempo. Grazie a questo disco il 2018 ha il suo classico. Un lavoro che riflette quello che in tanti pensano, cioè che bisogna evadere a questa realtà. Questo album è un biglietto di solo andata e TUTTI dovrebbero averne uno. Meraviglioso.
(la recensione completa la trovi qui)


A questo punto non posso fare altro che augurarvi di vivere un 2019 pienissimo di musica, di risate, di aneddoti e di piccole rivoluzioni interne che migliorino il vostro mondo. Spero di stare lì a bisbigliarvi all'orecchio quanta altra incredibile musica dovete inserire nella vostra vita.  












domenica 23 dicembre 2018

Lifesick - Swept in Black: la discesa senza freni

(Recensione di Swept In Black dei Lifesick)


La musica è salvezza. E' evasione, è una valvola di sfogo. Forse per quello chi ascolta metal invece di essere, come i pregiudizi vorrebbero, un esaltato distruttore, arrabbiato o depresso, è molto spesso una persona saggia ed equilibrata. Tutti abbiamo bisogno di un metodo che ci permetta di scaricare l'energia negativa e il metal da ottimi risultati. Forse sarebbe un bene che tutti prendessero coscienza di tutto ciò e forse inizierebbero a guardare tutto con altri occhi.

Swept in Black è il secondo disco dei danesi Lifesick e si presenta come un perfetto punto equidistante dall'hardcore e il thrash metal. Brani concreti, senza ambiziose pretese, con la voglia di arrivare diretti. Non c'è spazio per metafore, per complicazioni, per strutture elaborate. Il messaggio deve arrivare quanto più diretto possibile o, andando anche oltre, dev'essere esagerato in modo che chi ascolta non si perda neanche un secondo dall'obbiettivo dei brani. Storie che parlano di dolore, d'ingiustizia, di separazione tra quello che è il "mondo" e chi viene tagliato fuori. Insomma, un tuffo in acque profonde senza alcuna possibilità di emergere o di raggiungere qualche costa diversa da quella che ci avvolge. Per quello i brani sono un concentrato di forza, senza quasi perdersi in intro elaborate o sviluppi inattesi. Detto ciò, però, è fondamentale dire che se qualcosa non c'è in questo lavoro è staticità. I brani possono essere diretti e concisi ma non per quello non hanno la forza di avere cambi di ritmo e una dinamica che, sebbene rimanga molto alta, permette di sviluppare diversi livelli di rabbia e dolore.

Swept in Black

E' importante capire cosa prende Swept in Black dell'hardcore e cosa dal thrash metal. I Livesick riescono a esprimere la loro propria energia in una media di tre minuti, argomento che gli avvicina tanto alla parte hardcore, anzi, sembra che se ne freghino della bellezza, della perfezione, della cura per i dettagli. I loro brani partono a razzo e finiscono a razzo, più di qualche volta con dei tagli che sembrano tutto tranne che logici. Invece dal thrash metal c'è indubbiamente la scelta sonora, il modo nel quale le canzoni vengono suonate, le ritmiche scelte, la potenza dei riff di chitarra. D'altronde quest'unione tra entrambi i generi è sempre stata una costante, come se tutta quell'energia molto più grezza e aggressiva coabitasse nei due mondi. Per quello anche in questo lavoro si trova un equilibrio lodevole, dove entrambe le cose vanno bene e funzionano alla perfezione.

Swept in Black

Swept in Black è una caduta inarrestabile ma consapevole. E' la follia di buttarsi su una discesa sapendo che i freni non funzionano. Perché quello che cercano i Lifesick è l'impatto, il fatto che l'ascoltatore non può assolutamente fare finta di nulla. Bisogna affrontare questa macchina impazzita, bisogna aprire gli occhi e vedere cosa sta succedendo, questa è la scommessa, vinta dalla band.

Lifesick

Pesco due brani che spiegano ancora meglio quello che ho cercato di scrivere fino ad adesso.
Il primo è Lifesick 2. Brano che apre questo disco con il feedback della chitarra, suono, o rumore, che è quasi onnipresente in tutto il lavoro. Perché qua nulla dev'essere piacevole o ricercato. Bisogna scagliare calci e calci sono. I cambi di ritmiche vanno capire anche l'appartenenza thrash funzionando perfettamente. Non è necessario avere una strofa o un ritornello, l'unica cosa che serve è macinare e macinare.
Il secondo brano è Suicide Spell. Brano più lungo del lavoro andando oltre ai quattro minuti di durata. Unica canzone dove, in un certo modo, si osa di più affidando un'intro a una chitarra acustica arpeggiata. Questo respiro fa bene, perché incrementa molto di più le variazioni dinamiche per regalare un brano straziante e potente. 


Swept in Black fa pensare ai primi anni 90, quando il thrash metal prepotentemente si rubava la scena del metal facendosi anche spalancare le porte dei mezzi più mainstream, qualcosa che oggi sembra impossibile. Ma la forza dei Lifesick sta nel recuperare quello menefreghismo e quell'energia autentica ed inarrestabile che per molti, come me, è stata la porta d'ingresso nell'universo del metal.

Voto 7,5/10
Lifesick - Swept in Black
Isolation Records
Uscita 21.12.2018

martedì 18 dicembre 2018

Sliding Words - (fonetic): non c'è due senza tre

(Recensione di (fonetic) degli Sliding Words)


Il live è "il momento" nel quale un gruppo viene messe a nudo e fa capire quanta energia, voglia e qualità abbia. Ci sono concerti che rimangono impressi per sempre perché la forza emotiva che c'è dentro non lascia nessuno indifferente. Ci sono gruppi che fanno degli spettacoli che vanno ben oltre la musica, vere e proprie performance dove tutto viene curato fino al minimo dettaglio. Altri scommettono solo sulla forza della propria musica senza utilizzare nulla che possa essere fuorviante dentro al loro percorso. Personalmente penso che il tipo di live offerto dev'essere in linea con la proposta musicale di ogni gruppo e con quello che si propongono di fare, l'importante è che il risultato finale lasci l'ascoltatore completamente soddisfatto.

Se c'è un genere che si presta a avere dei risvolti artistici che si modulano a 360 gradi questo è sicuramente il triphop. E c'è una cosa strana, perché parliamo di un genere ormai "grande" che continua ad avere una sonorità giovane e futurista. E' senz'altro per quello che il duo francese Sliding Words ha scelto prevalentemente quel genere come quello da portare avanti nelle loro composizioni. Anche se oggi mi ritrovo a parlare soltanto della parte musicale che possiamo apprezzare nel loro primo disco, intitolato (fonetic), bisogna tenere in considerazione che la loro musica acquista un nuovo livello nelle loro esibizioni live, dove vengono distribuiti delle cuffie attaccate a vecchi apparati telefonici per riuscire a dare una dimensione più intima e stereofonica alla loro musica. Fatta questa premessa posso tuffarmi completamente nelle tracce di questo interessante lavoro. Come succede con opere del genere la musica sembra essere una complessa operazione di taglia e cuci che finisce per dare un risultato vellutato, elegante e molto sensuale. 

(fonetic)

Se c'è un'altra fondamentale caratteristica del triphop, e che lo rende un genere senza scadenza, è l'idea di mettere insieme diversi generi, di essere un filo che attraversa tutta una serie di elementi e li mette insieme. Questa filosofia c'è anche dentro alla musica di (fonetic). Come prima cosa bisogna partire dall'idea che questo disco mette insieme non solo due persone ma anche due percorsi ed inquietudini musicali. Per quello si cerca sia la parte elettronica, costruita con questo collage sonoro, e quella acustica, presente nella scelta di certi strumenti. Ma l'inquietudine musicale delle due menti dietro a Sliding Words va anche a cercare il macro ed il micro. In altre parole, questo è un disco che ha elementi universali che potrebbero aver dato nascita a questo disco in qualsiasi angolo del mondo, ma d'altra parte c'è la ricerca di suoni della world music, anche attraverso certi strumenti. Questa è una formula che generalmente funziona molto bene e che acconsente di avere dei dischi veramente interessanti. Ancora una volta, e so che lo faccio spesso, credo che sia fondamentale sottolineare che un risultato come questo è raggiungibile solo grazie a due premesse, l'esperienza e l'apertura mentale. Entrambe le cose sono presenti in questo piacevolissimo disco.

L'esperienza live proposta dagli Sliding Words è assolutamente replicabile anche nel privato. Cercate una sistemazione comoda, eliminate qualsiasi possibile distrazione, chiudete gli occhi e con le cuffie alle orecchie lasciate scorrere la musica di (fonetic). Chissà che mete raggiungerete, chissà cosa vivrete, ma in un modo o nell'altro sono sicuro che non rimarrete nello stesso luogo fisico da quando avete iniziato quest'esperienza. Sarà una coccola preziosa e necessaria.

Sliding Words

Prendo due brani che permettono anche di capire le diverse vie che percorre questo disco.
La prima è Bukowski Crash Test, titolo che già di per sé garantisce un brano molto interessante. Più che mai si capisce come un brano possa essere costruito assemblando una serie di elementi, trovando ispirazione da una registrazione, da un arpeggio di tastiera, da una registrazione, da accordi di chitarra che rimangono sospesi nel vento, da un ukulele che potrebbe non c'entrare nulla con tutto il resto ma invece s'incastra alla perfezione. Un brano sorprendente.
Il secondo è Time Is Never Here. Malinconico, elegante, degno erede di quell'aria francese che riesce a rendere tutto raffinato. Bellissima la voce di Maÿen  che ci guida tra queste note bellissime. E' un brano di quelli che toccano il cuore, nel quale artista e ascoltatore siglano un accordo permanente. Consiglio di ascoltare la versione estesa e non quella radio edit.


Sliding Words, parole che scivolano, che possono cambiare significato cambiando il significato di tutta la frase. Questa è l'idea di (fonetic), cioè quella di riuscire a fare capire ad ogni ascoltare che quel brano esiste lì, in quel singolo momento solo per lui, come se l'ascoltatore stesso diventasse per qualche minuto il terzo membro del gruppo e la sua presenza diventasse preziosa. 

Voto 8,5/10
Sliding Words - (fonetic)
Atypeek Music
Uscita 14.12.2018

domenica 16 dicembre 2018

Kerretta - Exiscens: la sorpresa del primo ascolto

(Recensione di Exiscens dei Kerretta)


Ricordo che quando iniziai a capire che la mia vita, invariabilmente, sarebbe girata intorno alla musica le cose erano assolutamente diverse da adesso. Le anticipazioni dei dischi venivano sentite in radio, quando le radio facevano girare bella musica, o viste in tv, quando MTV era un canale rivoluzionario e non la cagata d'oggi. Se volevi conoscere l'artwork dei dischi o avere qualche altra informazione potevi comperare le riviste specializzate ma non era mai esaustivo quello che potevi trovare. Ricordo, da ragazzo, le corse ai negozi di dischi per acquistare, nello stesso giorno d'uscita, il nuovo cd dei miei artisti favoriti, con la paura di non fare in tempo a garantirmi le prime copie. L'emozione del primo ascolto è qualcosa d'impagabile, il giudizio su quello che rappresentava questo nuovo sforzo delle band del cuore, il riascoltare i dischi con le cuffie fino a notte fonda, il piacere di commentargli il giorno dopo con gli amici. I tempi sono cambiati ed è difficile dire se lo siano in meglio o in peggio. Vedo l'emozione dei ragazzi, quando esce un nuovo lavoro, che è abbastanza analoga a quella che sentivo io anni fa. Ma adesso sembra tutto più facile, più digitale, meno tangibile. Il giorno stesso dell'uscita di un nuovo disco già si trova in streaming tutto quanto, come se quel privilegio che era impagabile fosse stato spazzato via.

La filosofia dietro a Exiscens, nuovo disco dei neozelandesi Kerretta, è molto interessante. Di comune accordo insieme alla loro casa discografica non è stato anticipato nulla fino a due giorni fa, quando il disco è uscito. Non c'era una copertina, non c'era alcun single apri pista, nulla. Solo un atto di fiducia da compiere conoscendo la band, così chi avrebbe comperato in tappa di prevendita questo lavoro si è trovato a scoprire da capo la tracklist, l'artwork e altri elementi. Per gli addetti ai lavori come me ci è stato fatto conoscere la tracklist, fornendoci anche i file audio ma senza sapere nulla della copertina. Una scommessa interessante, controcorrente e, in un certo modo, nostalgica. Molto conseguente anche a quello che è la costruzione di quello che diventa il quarto lavoro della band. E' così perché i brani che si ritrovano in questo lavoro sono dei brani che non avevano mai avuto una vita fisica, versioni inedite di altri brani e altre tracce inedite. Insomma, un bel pacco di Natale. Qualche volta le scommesse come questa non danno il risultato adatto, perché potrebbe sembrare che tutta questa operazione serva a mascherare un risultato mediocre; in questo caso non è proprio così. Questo è un disco ottimo, pieno di originalità e di coerenza sonora. Non ci sono "sbalzi" tra un brano e l'altro ma sembra di ascoltare un lavoro composto ex-novo. E bisogna pensare che i brani contenuti sono stati creati in un arco temporale che va oltre il decennio. 

Exiscens


Il successo di Exiscens, che rende coerente la scelta di band e casa discografica, sta nel fatto che l'ascoltatore coraggioso, che ha deciso a scatola chiusa di acquistare questo disco, rimarrà piacevolmente contento ascoltando questa nuova uscita dei Kerretta. Spesso credo che il post rock abbia il difetto di essere piatto o di abusare di certe dinamiche non regalando nuovi spunti. Invece questo lavoro è intenso, riflessivo, ipnotico, trascinante ed emotivo. Si va da brani che possiamo assolutamente definire come heavy post rock ad altri che sembrano ambient. Si va dalla potenza di un riff alla versatilità della costruzione di un tappetto strumentale. Tutto quanto legato da un senso di coerenza, da un'impronta comune che fa sempre capire qual è il gruppo che sta suonando. E occhio, che in questo caso non era una cosa semplice perché, ricordo, parliamo di un lavoro che è una specie di compilation di dieci anni di musica e di un processo che, come nella vita di qualsiasi band, fa venire fuori un'evoluzione nei suoni, nel modo di scrivere, nella voglia di raccontare cose nuove e nell'esperienza nel farlo. Coerente e personale, una creatura della quale è facile descrivere carattere e modo di essere. Dettagli che permettono di far capire qual è la grandezza di un gruppo e qual è la capacità di avere una voce propria, diversa dal resto. In un certo modo questa prova è promossa a pieni voti.

Exiscens

A questo punto la sorpresa dei Kerretta non è soltanto un gradito regalo per i propri fans ma Exiscens diventa un disco da divorare e riascoltare per tutti gli amanti del genere. Una porta d'ingresso per chi non conosce la band e una chicca per chi, invece, si diletta con la loro musica da tempi remoti. Se magari avete già aderito alla prevendita e avete già avuto modo di scoprire di botto tutto quello che c'è dentro la sorpresa sarà stata ancora maggiore.

Kerretta

Pesco due brani che permettono di vedere la contrapposizione presente in questo disco che viene lo stesso unita dall'impronta della band.
Il primo è The Trouble with Us che inizia con la parte più aggressiva o pesante della band grazie a un potente riff di chitarra che sorregge tutto il resto per poi scivolare verso acque più tranquille. Come quando si attraversa un oceano, si sa, il mare non sarà sempre calmo.
Il secondo è Ornithomancy. La stessa chitarra che prima minacciava di buttare giù un palazzo con la sua distorsione adesso ci crea un'atmosfera bellissima, intensa, fatta da sfumature. Ed è il lavoro di blocco di tutta la band quello che conferisce la concretezza di questo brano. Il suo modo di scivolare con personalità tra i giochi della chitarra, le linee di basso, mai banali e sempre effettive, e il motore della batteria, capace di regalare tempo, spazio e profondità. Bellissima.


Forse il messaggio che deve arrivare a tutti quanti è che Exiscens è un disco che punta a suscitare delle emozioni che, in realtà, non hanno età. La sorpresa della scoperta è una delle sensazioni più belle che ci siano e ben poco importa se si prova da piccoli, quando le emozioni lasciano una traccia più profonda, o da grandi, quando sembra più difficile lasciarsi travolgere. Andando oltre a tutto ciò sta di fatto che questo lavoro dei Kerretta è un disco impeccabile, personale e lodevole. Ecco, adesso avete un'idea regalo per Natale.

Voto 9/10
Kerretta - Exiscens
Golden Antenna Records
Uscita 14.12.2018

sabato 15 dicembre 2018

Speaker Bite Me - Future Plans

(Recensione di Future Plans degli Speaker Bite Me)


Dove si va? Chi lo può sapere. Il nostro percorso personale è sempre soggetto a quello che succede sopra di noi, a quello che il mondo ci offre, a quello che la nostra patria vive, a quello che le dinamiche internazionali determinano. I tempi cambiano e cambiano i modi di essere governati, i modi di dominio, le dinamiche imposte. C'è chi è abile a interpretarle e sa trarre vantaggio, c'è chi non riesce a stare al passo e precipita. L'Europa non è più l'Europa di vent'anni fa ma diventa impossibile sapere dove si troverà tra altri vent'anni; intanto noi cerchiamo l'equilibrio, come un surfista sulla sua tavola.

Future Plans

Lo sapete, se seguite assiduamente questo blog, cerco sempre di portarvi dei dischi appena usciti o di uscita imminente. Qualche volta, però, per svariati motivi non riesco ad ascoltare tutto il materiale che mi arriva e, in certi casi, mi rifaccio alla distanza di qualche mese andando a pescare dei veri gioielli. Future Plans è uno di questi. Uscito nel giorno della "scoperta" dell'America, il 12 Ottobre, il primo album in undici anni dei danesi Speaker Bite Me è una di quelle opere che sconvolge sin dal primo ascolto. Lo fa perché una personalità così ricca da investire l'ascoltatore o, nel mio caso, il recensore. Questo, che è il sesto album della band, è un lavoro che nasce dall'osservazione di quello che capita in Danimarca o più estesamente in tutta Europa. E' la riflessione della band di fronte a un momento storico rarefatto, dove non è chiaro fino in fondo dov'è la crisi e dove ci vuole che ci sia questa crisi. Un momento dove, citando le parole di Signe, cantante e chitarrista del gruppo, "le relazioni tra le persone sono sparite. Forse perché ci sentiamo deboli. (...) Invece di goderci il nostro benessere combattiamo per il nostro surplus." Per quello musicalmente questo disco è freddo, malinconico e molto complesso. E' un conflitto tra la realtà e l'ideale, tra il modo che ci viene imposto di essere e quello che sarebbe l'ideale. E dal conflitto nasce sempre la meraviglia.

Future Plans

E' difficile definire musicalmente questo Future Plans. E' un disco sperimentale, sporco, elettrico, alternativo ma profondamente rock. La butto lì, in certi momenti sembra di essere di fronte a certi brani dei The Gathering ma senza la parte metal o più dark degli olandesi. Gli Speaker Bite Me sanno creare delle atmosfere intense che bastano ad avvolgere chi prende in mano questo disco. Una volta dentro a queste atmosfere tutto cambia, tutto si arricchisce prendendo direzioni complesse. Senza essere una band progressiva la maggioranza dei brani hanno un'importante lunghezza che diventa fondamentale per raccontare la storia che vogliono raccontare. Ecco il conflitto, ecco la luce in mezzo al fumo, ecco il ricordo delle cose essenziali che in fondo sono quelle importanti. La band prima ci dipinge il mondo attuale e poi ci insegna come si potrebbe venire fuori, come la vita sia preziosa semplicemente perché è vita. Per quello la loro musica passa dal rumore a l'asciuttezza di una melodia preziosa. Dal molto al poco, dall'acidità all'emozione. Come dicevo prima: ecco il conflitto. 

Future Plans

Sono un amante degli oasi. E non mi riferisco a quelle isole verdi in mezzo ai deserti. Gli oasi sono quei posti sacri che sembrano resistere a tutto quello che c'è intorno. Future Plans è un canto agli oasi e diventa, esso stesso, un oasi musicale. La meraviglia che ci regalano gli Speaker Bite Me è quella di offrirci un disco nato da riflessioni attuali ma che fa bene all'anima adesso, ieri e domani. Perché questo disco è una guida da seguire se si vogliono scoprire gli oasi, quelli fisici ma anche quelli spirituali.

Speaker Bite Me

Prendo due brani da questo maestoso disco che, in tutti casi, va ascoltato per intero.
Il primo è Act, apertura perfetta di questo lavoro. Subito viene fuori un brano fumoso, immerso nel grigiore della vita. Ci sono diversi elementi che mi portano al triphop ma piano piano che scivola via si capisce che il grigio è solo il contorno e che bisogna cercare la parte centrale, quella luminosa, perché lì c'è la luce, la gioia, la bellezza. Il rumore non riesce a mascherare l'intensità melodica e l'insieme armonico. Chitarre alla The Gathering, basso pieno di groove, voce celestiale: conflitto.
La seconda è Sweet Expectation. Sembra un brano tiratissimo, intenso, sudato, vissuto e per più della metà del tempo è così. E poi... l'oasi, la fine del rumore e la bellezza di una tastiera che fa il tappetto di pianoforte per delle voci vellutate. Perché le cose belle stanno nel profondo e si svelano piano piano solo a chi ha la pazienza di trovarle. Bellezza pura.


Undici anni sono tanti. Molte cose cambiano aldilà del modo di guardare il mondo. Nel caso degli Speaker Bite Me questi undici anni sono stati degli anni dove tutta la loro osservazione e il loro modo di essere e di vivere viene tradotto in cinque brani, quelli che compongono Future Plans. Non so voi ma io ho l'impressione che tutto può cadere a pezzi ma ci sarà sempre un luogo del cuore dove essere al riparo da tutto.

Voto 9/10
Speaker Bite Me - Future Plans
Pony Rec
Uscita 12.10.2018