domenica 30 aprile 2017

Shibalba - Psychostasis - Death of Khat: pronti ad affrontare il subconscio?

(Recensione di Psychostasis - Death of Khat degli Shibalba)


Seppur siano passati molti anni tutt'oggi il mondo mitologico ci affascina e ci fa porre delle domande che non sempre trovano risposta. Ancora non ci sono risposte esaustive a tanti misteri legati al modo di vivere, alle costruzioni monumentali, a certe adorazioni divine e al dominio assoluto di certe scienze. Infatti è paradossale che nella sua continua evoluzione l'umanità abbia perso certi periodi lasciando indietro delle lacune che, forse, non saranno mai colmate. Abbiamo solo interpretazioni, giustificate o meno da tesi accademiche, che cercano di spiegare ma che non ci consentono di capire fino in fondo.

Psychostasis - Death of Khat

Shibalba è un progetto nato con la volontà di ricreare l'effetto sciamanico ed esoterico legato a certe culture. Per quello il loro sforzo è quello di guidare la mente attraverso stati d'ipnosi che permettano di raggiungere certi luoghi dove, diversamente, sarebbe impossibile arrivare. Il nuovo sforzo di questo gruppo greco svedese si chiama Psychostasis - Death of Khat ed è il lavoro del quale mi occuperò nelle seguenti righe. 
Con quest'introduzione credo che sia abbastanza chiaro che quello che ci possiamo aspettare non è un disco inteso come una compilation di brani con la classica forma "canzone". Ed infatti sin dalle prime note questo disco ci regala quel esoterismo quasi new age che sembra essere diventato un elemento fondamentale nel lavoro di certe figure professionali. La differenza sostanziale con quei dischi prettamente new age sta nell'alta dose di oscurità che impregna questo disco. Non c'è luce ma il portale che c'invitano ad attraversare è il punto di partenza dentro al mistero, all'incontro con essere sovrumani dotati di poteri eccezionali. Ma andando oltre l'altro aspetto fondamentale e molto interessante è che questo mondo unico è costruito dalla band senza prendere una sola linea guida ma mescolando una serie di elementi che potrebbero appartenere a più culture diverse.

Psychostasis - Death of Khat

La strizzata d'occhio dei Shibalba è rivolta all'oriente ma così come capita nella storia, dove strani parallelismi sono stati evidenziati tra culture molto lontane, anche musicalmente non tutto quello che sentiamo in questo Psychostasis - Death of Khat proviene dall'Asia. Le contaminazioni presente in questo disco vengono fuori anche in altri modi, uno su tutti: l'utilizzo di strumenti "autoctoni" dell'oriente insieme ad altri "moderni" come le chitarre elettriche, con un utilizzo simile a quello fatto nel drone metal, o i synth che si divertono a ricreare degli ambiente complessi e misteriosi. Per quello un paragone valido sarebbe quello con parte dei lavori dei grandiosi Dead Can Dance, dove l'oscurità ha, ancora una volta, un peso molto importante. C'è da sottolineare però che lo sforzo musicale di questo terzetto è quello di creare un vero stato di trance e non quello di riportare in vita certe forme musicali ormai dimenticate. I Shibalba costruiscono un futuro basandosi su certi elementi del passato.

Psychostasis - Death of Khat

Un viaggio è sempre un'esperienza illuminante. Se non altro perché ci toglie dalla nostra quotidianità e ci obbliga ad affrontare una serie di elementi nuovi, ad aver a che fare con sconosciuti, a meravigliarci di fronte a cose che non conoscevamo. Anche questo Psychostasis - Death of Khat è così. Non è un disco lineare, è onirico ma anche brutale, è misterioso ma anche una rivelazione. E' questo ignoto che ci viene presentato quello che ci porta ad avvicinarci o a voler scappare via a gambe levate. Ma tutto capita dentro di noi, dentro le nostre teste, poco abituate ad evadere. Per quello il contributo degli Shibalba è prezioso, perché ci regala la possibilità di essere in altri mondi che in realtà ci appartengono.

Shibalba

Un'altra cosa da rimarcare è che tra gli strumenti utilizzati per registrare questo disco ci sono diversi fabbricati con delle osa e certe percussioni sono formate da teschi. Come se questa percezione di oltremondo dovesse essere presente anche così. Per quanto mi riguarda ci sono due brani che mi sono particolarmente piaciuti, forse perché sono tra i quali dove si sente con più chiarezza il lavoro degli strumenti "contemporanei". Questi sono:
La title track che ha anche il compito d'aprire questo disco. Tastiere e cori si mescolano per lasciare lo spazio ad una voce narrante che sembra essere la guida in questa discesa verso gli abissi. Piano piano che scendiamo si apre un nuovo mondo, tribale, oscuro, fatto di ritmi ossessivi sui quali la chitarra trova modo di accostarsi all'idea di rapirci in questo viaggio.
Reanimation of Akh è invece il punto più alto di questo disco. Ancora una volta la base viene affidata alle tastiere che con un suono di arpa si dileguano in una serie di arpeggi che formano il loop ipnotico sul quale un coro di voci maschili ed una chitarra acustica costruiscono un momento di bellezza assoluta. Spegnere le luci, mettersi comodo, alzare la musica e mandare una volta ed un'altra ancora questa canzone è un rimedio contro tutto, fidatevi.


Il fascino di Psychostasis - Death of Khat sta nell'essere un lavoro assolutamente lontano dal nostro mondo. Ma ci vorrebbe molto più Shibalba nei nostri giorni. Lo ci vorrebbe per farci capire che non siamo nulla, o che siamo pochissimo. Lo ci vorrebbe perché l'universo è dentro di noi, e ce lo dimentichiamo costantemente. Meno superficialità e più spirito, meno omologazione e più apertura mentale. E la musica può essere la chiave, come sempre.

Voto 8,5/10
Shibalba - Psychostasis - Death of Khat
Agonia Records
Uscita 30.04.2017


venerdì 28 aprile 2017

Mind Mold - Mind Mold: oltre ai confini, sempre

(Recensione di Mind Mold dei Mind Mold)


Se esiste qualcosa di difficile definizione quella è l'avanguardia. Che cos'è avanguardia e che cosa non lo è? Quali parametri deve avere una qualsiasi opera per essere avanguardista? E' molto difficile dirlo ma la sensazione che viene fuori spesso è che ci si riferisce a qualcosa che è avanti nel proprio tempo, qualcosa che anticipa quello che dovrebbe essere la novità tra qualche tempo. Nel metal l'avanguardia è stata spesso e volentieri usata come un contenitore che fa confluire tutte le cose contaminate di difficile definizione. Ma, a lungo andare, è diventato un genere a tutti gli effetti.

L'opera prima dei canadesi Mind Mold è un EP omonimo e come sicuramente s'intuisce dalla mia introduzione è un lavoro d'avanguardia. 4 tracce e 21 minuti ci permettono di capire a cosa punta questa band e il bersaglio mi sembra molto ben centrato. Dentro alla musica del gruppo coesistono una serie di generi che vengono coniugati in modo di dare una forte impronta personale a questo EP di debutto. Le dissonanze delle chitarre si adagiano sopra ad una base ritmica che ricorda, a tratti, quella del doom metal, creando così l'habitat perfetto per una voce rabbiosa. 

Sentient Ruin Laboratories

E' l'intensità l'aspetto che più traspare di questo Mind Mold. Intensità che acquista una dimensione materiale fatta di qualche sostanza affascinante ma misteriosa. Questo è un disco che incanta ma spaventa. Che sorprende ma crea un certo tipo di ribrezzo. Le chitarre alla Ved Buens Ende hanno il ruolo fondamentale di farci capire che quello che stiamo ascoltando non è qualcosa di scontato o di sentito. Ed è la loro sovrapposizione con una base ritmica solida che dà, come spesso capita, una dimensione terrene a quello che stiamo ascoltando a far venire fuori un quadro unico. Aggiungiamoci qualche altra incursione strumentale molto mirata, come le tastiere nell'ultimo brano Nyx, ed una voce che potrebbe perfettamente appartenere a una band black  o post metal e quello che viene fuori è con chiarezza l'insieme d'intenti musicali dei tre componenti del gruppo. Infatti Mind Mold sembra essere un recipiente che esige di essere alimentato con quante più fonti possibile, ma poi tutto viene processato ed esce fuori qualcosa che è un punto d'equilibrio tra tutto quello che è stato sentito.

Mi piace l'avanguardia. Mi piace perché rispecchia la volontà di evolversi, di dimostrare una e mille volte che c'è tanto altro da dire nel mondo della musica. Per quello questo EP è un piccolo gioiello. Piccolo perché non è altro che il primo atto dei Mind Mold e perché mi da l'impressione che quello che ci sarà nell'avvenire della band sarà interessante e tutto da seguire. Tutto ciò si deduce dalla mentalità che c'è dietro, dalla voglia di osare e di non fermarsi ai confini.


Due brani da approfondire.
Viceregal Inhumation mi ricorda molto quello che è stato fatto dai Ved Buens Ende. Gli arpeggi ricercati di chitarra aprono la pista ad un'intensità unica dove la batteria sembra non voler fermarsi mai, senza però, per quello, trascinare tutti gli altri strumenti. E' questo contrasto ad essere prezioso.
Nyx invece presenta certe aperture che gli altri brani non hanno. Forse è il brano che guarda maggiormente al passato regalando qualche elemento di noise e certi punti d'epicità gotica regalati dalle tastiere. E' il brano più doom di questo lavoro.

Gli EP sono sempre delle arme crudeli perché funzionano un po' come i trailer dei film. Ti buttano dentro ad un certo discorso ma non ti acconsentono fino in fondo a capire tutto. Sai di cosa parla il film ma non sai esattamente come te lo racconta. Non sai se il ritmo è lento o veloce, se la storia scorre e sorprende o è forzata. Per quello rimane una grande curiosità nel sentire un lavoro più lungo dei Mind Mold. Il trailer ha funzionato e si sono presi la mia attenzione.

Voto 8/10
Mind Mold - Mind Mold 
Sentient Ruin Laboratories
Uscita 28.04.2017

mercoledì 26 aprile 2017

Critical Solution - Barbara the Witch: e le storie di una volta

(Recensione di Barbara the Witch dei Critical Solution)


Siamo legati ai nostri ricordi, a quello che abbiamo vissuto nell'infanzia o nell'adolescenza. A tutto ciò diamo un peso unico, non maggiore ne più importante, semplicemente unico, in un certo modo magico. Quando, per diversi motivi, riemergono questi pensieri proviamo sempre un grado di nostalgia e guardiamo tutto con uno sguardo che non ha paragoni. Poco importa se nel tempo le nostre vite hanno preso tutt'altra direzione.

Uno degli artisti che ho più ho seguito per un po' di tempo nella mia adolescenza è stato King Diamond. Mi piaceva molto la sua dimensione di cantastorie maledette. I suoi dischi erano dei libri che si leggevano tutto di un fiato. Per quello quando mi è capitato di ascoltare questo Barbara the Witch tanti ricordi mi sono riaffiorati e ho sentito che era bello raccontarvi di questo disco dei Critical Solution.
Il punto di partenza è sempre lo stesso di tante storie di Diamond, cioè storie di stregonerie, di patti diabolici, di villaggi che combattono con ignoranza la presenza demoniaca. Questa volta la storia gira intorno alla figura della strega Barbara e dei fatti che dovrebbero essere accaduti nel 1600 nella città d'origine della band: Helleland, in Norvegia. Tutti i dettagli sono serviti per avere uno sviluppo degno di questo genere di storie.

Barbara the Witch

Non c'è soltanto un fatto di tematica in comune con i lavori di King Diamond. La musica messa in gioco dai Critical Solution ha anche gran parte della sonorità del thrash metal anni 80/90 che si ritrova nei dischi di Diamond, dei Mercyful Fate ma anche di altri artisti come i Testament o gli Slayer. Non è una casualità se la produzione di Barbara the Witch sia stata affidata a Andy La Roque, conclamato chitarrista che oltre a lavorare col cantante danese ha anche registrato Individual Thought Patterns dei compianti Death.
Un thrash metal che confina con l'heavy metal di prima ondata, quando il metal era molto più ristretto di quello che è ora.

Barbara the Witch

Barbara the Witch è come quel genere di film che ogni tanto bisogna guardare, non perché siano film indimenticabili ma perché regalano un'oretta e passa di svago. Ecco, l'effetto dei Critical Solution è più o meno lo stesso. Abbiamo di fronte una storia associabile a quel genere di racconti dell'orrore di una volta, dove la lotta tra bene e male si focalizzava nei loro seguaci in un'epoca di triste ignoranza. E' qualcosa di così lontano dal nostro mondo che lo si guarda, o in questo caso ascolta, con divertito interesse. E funziona.

Critical Solution

C'è da segnalare che oltre al disco del album c'è un bonus disc che raccoglie una serie di cover che fanno capire con chiarezza quali sono le influenze della band. Così possiamo sentire nuove versioni di classici di King Diamond, Black Sabbath e Deep Purple tra altri. Ma parlando del disco principale vi approfondisco due brani.
Il primo è The Village. Come in un buon racconto la cosa fondamentale è far addentrare il lettore nello scenario dove si sviluppa la storia. Questo brano riesce ad introdurci sia nella parte letteraria che in quella musicale. Ci lascia con chiarezza la consapevolezza di dove siamo, dove si sviluppa la storia e con quali modi musicali si va avanti. E' un brano concreto, divertente, ben suonato.
Il secondo è Red Hooded Devils. Dal mio punto di vista è il brano più riuscito dell'intero lavoro e riporta alla mente sia il lavoro dell'abbondantemente nominato King Diamond, che altri punti fondamentali che collegano questo disco al thrash metal, tanto che certe parti mi fanno pensare a gruppi come Nevermore. Un tuffo nel passato per quanto riguarda la parte musicale.


Barbara the Witch non sarà il disco più originale di quest'anno. Non sarà neanche un lavoro che sa di moderno. Anzi, per certe persone può anche risultare un disco antico, superato ed inutile. Ma credo che lascerà un sapore di nostalgia in chi, come me, è cresciuto ascoltando certi generi di musica. Poco importa se non è la musica più presente nelle nostre vite, ora. Una parentesi nostalgica è sempre gradita.

Voto 7,5/10
Critical Solution - Barbara the Witch
Crime Records
Uscita 28.04.2017

martedì 25 aprile 2017

Emphasis - Black.Mother.Earth: la musica è il miglior viaggio

(Recensione di Black.Mother.Earth degli Emphasis)


Sarebbe opportuno che i politici capissero che la cultura si evolve e si esprime in tanti modi diversi. Sarebbe opportuno che capissero che la salvaguardia della storia e delle tradizioni del proprio posto può essere fatta in tanti modi diversi e che certi linguaggi arrivano con maggiore facilità alle generazioni più giovani. Purtroppo queste cose sono spesso un miraggio, qualcosa d'impossibile d'ottenere ma c'è qualche piccola eccezione degna di nota.

Quando mi è arrivata la copia di Black.Mother.Earth dei croati Emphasis una delle cose che più mi chiamò l'attenzione è il fatto che questo lavoro è stato registrato in collaborazione con il ministero dell'arte e della cultura della nazione balcanica. Che bella cosa che un governo abbia l'altezza di pensiero di capire che un disco di post metal è un veicolo utile alla promozione culturale e territoriale. Infatti questo disco ha tanto di Croazia, se non altro perché prende ispirazione dall'opera di uno scrittore croata: Kristian Novak
Andando oltre a questo primo fatto molto interessante c'è da dire che questo lavoro, terzo nella carriera della band, è un disco fantastico, interessante, intenso, sentito e piacevolissimo. Lo è perché prende i fondamenti del post metal e gli mette in gioco in modo magistrale. Brani di lungo sviluppo che riescono a ricreare delle atmosfere molto dense dentro alle quali si sente un grande trasporto. Lo è perché da un tocco personale da parte della band a un genere che, forse, ha il limite di essere abbastanza unidirezionale. Lo è perché inizia con un brano strepitoso di una bellezza unica per poi regalarci tanti altri momenti piacevoli.

Black.Mother.Earth

Musicalmente Black.Mother.Earth è un disco post metal, costruito con linee ossessive di chitarra che non disdegnano la drammaticità dei passaggi lenti e di quelli di pomposa grandiloquenza, con ritmiche molto sostenute, che creano un a base che sorregge perfettamente tutta la struttura. Nel primo brano, Muna, abbiamo la presenza di un coro femminile bellissimo, invece nel resto del lavoro la voce è molto sentita, quasi sofferente, ma diventa una perfetta guida dentro al mondo costruito dagli Emphasis. Ma parlare semplicemente di un disco di post metal sarebbe riduttivo, per quello tanti passaggi si sviluppano dentro a quello che è un linguaggio prettamente post rock, con paesaggi sonori onirici, spesso legati ad una grande dose di nostalgia. C'è anche molto di metal, nelle ritmiche schiaccianti di basso e batteria, nei riff taglienti di chitarra, ma tutto messo in gioco con lo scopo finale, con la voglia di comunicare questo grigio mondo presente in tutto questo disco. Infatti, come faccio spesso, questo è uno di quei dischi bianco e nero, quei dischi che giocano con l'insieme di quei due colori senza voler colorare con altre tonalità perché è fondamentale quella linearità. 

Personalmente non sono mai stato ancora in Croazia, ma spero di rimediare presto, e l'impressione che ho ascoltando questo disco è che una gran parte di quello che si può vedere e vivere lì è intrinseco in questo Black.Mother.Earth perché questo è un disco che parla della storia che si vive e si respira nei luoghi che sono stati testimoni della storia, della vita e morte di generazioni e generazioni di uomini. Gli Emphasis costruiscono dunque un disco molto importante, che sa di profondità, che racconta non tanto con le parole ma soprattutto con la musica. Si sente che c'è una grandissima e riuscitissima comunione tra quello che voleva essere raccontato e tra il risultato finale. Questo è uno di quei dischi che compiono perfettamente con quello che era stato prefissato. Non è roba semplice da fare.

Emphasis

Vi ho parlato di Muna, brano d'apertura di questo disco, che in realtà funge da introduzione. E' un brano incantevole, dovuto soprattutto alla presenza di una linea vocale femminile molto molto bella. E' il portale d'ingresso a tutto il lavoro e merita un ascolto molto attento, perché riesce perfettamente a proiettarci nel mondo desiderato dalla band.
Rivers Under è un altro brano che mi è particolarmente piaciuto. Mentre il primo è incantevole questo secondo lavoro permette di capire qual è la vera anima della band. E' qui che si capisce l'intenzione musicale, l'insieme di elementi e l'intensità del post metal proposto dai croati. Brano intenso, piacevole, un'altalena di emozioni che si susseguono in questi contrasti musicali.


Consigliatissimo questo Black.Mother.Earth. Consigliatissimo a tutti quelli che amano il post metal ma anche a chi cerca nella musica un modo di viaggiare senza muoversi. Gli Emphasis regalano 40 minuti di bellezza, di mondi senza tempo, di emozioni, di contrasti. Qualsiasi governo dovrebbe fomentare lavori del genere. Se così fosse questo sarebbe un mondo migliore, molto migliore.

Voto 8,5/10
Emphasis - Black.Mother.Earth 
Geenger Records
Uscita 28.04.2017

lunedì 24 aprile 2017

Return to Void - Return to Void: sotto l'ombra del signor Dickinson

(Recensione di Return to Void dei Return to Void)


E' indubbio che ogni approccio alla musica è stato motivato dal sentimento di ammirazione verso qualche artista o verso una serie di musicisti. Voler essere come qualcun altro, aspirare a fare la vita di rock star, immaginare di girare il mondo con serate quasi tutti i giorni, riempirsi le tasche facendo quello che si ama fare.Un sogno bellissimo che nella pratica si traduce nel dare i primi passi subendo significativamente l'influenza di qualcun altro. In tanti dicono che i primi brani composti erano delle velate copie di qualche altro brano famoso. E' una palestra, fa bene ed è il modo giusto di addentrarsi in questo mondo. A patto, però, che subito dopo si riesca a trovare una propria strada.

Oggi vi parlo del disco di debutto di una band finlandese chiamata Return to Void. Il loro disco omonimo è contraddittorio. Lo è perché presenta delle ottime canzoni ed un genere rock progressive/hard rock molto ben suonato, ma, allo stesso tempo, ha un'ombra molto ingombrante che opacizza tutto il resto. Per capire qual è quest'ombra bisogna partire da un'informazione precisa. I Return to Void prima di dedicarsi alla composizione di brani propri con la band al completo, erano un trio acustico che faceva cover di Bruce Dickinson. Fino a qua tutto bene, in tanti musicisti hanno iniziato facendo cover per poi andare a parare in altre tipologie di lavori. Il problema in questo caso è che la figura del frontman degli Iron Maiden è eccessivamente presente in tanti momenti, tanto di far sembrare tanti elementi delle ricreazioni di quello che avrebbe fatto lui. Naturalmente questo problema si verifica soprattutto per quanto riguarda il riparto vocale, ma, ed ecco il peccato non è qualcosa sempre presente. Infatti se si prendono i brani dove il timbro non è così simile a quello del cantante inglese quello che viene fuori è un lavoro piacevole, abbastanza originale e ben fatto.

Inverse Records

Le acque navigate dalla band vanno dal rock progressive degli ultimi quarant'anni al hard rock/heavy metal molto in stile Bruce Dickinson, soprattutto col suo disco Balls to Picasso. Vale a dire qualcosa di molto immediato, che arriva senza problemi all'ascoltatore, dove i brani non si perdono in lunghe elucubrazioni ma riescono ad andare subito al sodo. C'è da dire in tutti i casi che il sound dei Return to Void non è sicuramente un sound dei nostri giorni e perfettamente questo disco potrebbe essere un disco registrato 20 anni fa. Per quello non mancano armonizzazioni di chitarre, assoli virtuosi e acuti vocali. Il punto pregevole sono le escursioni progressive che vedono delle piacevolissime linee di basso e certi break strumentali molto graditi. 

Naturalmente la musica è fatta di gusti. Non ci sono giudizi universali ed ognuno cerca qualcosa di predefinito in quello che ascolta, ma la mia impressione è che questo Return to Void presenti un potenziale non completamente espresso. Si sente una grande coesione di gruppo dove i musicisti sono validissimi. Peccato però per quella influenza così marcata e per quella voce così simile a quella di Dickinson, perché è lì che molto del lavoro ben fatto si disperde. Bisognerebbe trovare altri fari ad illuminare la strada, qualcosa di più impegnativo che esiga un bel sforzo da parte della band. Sono sicuro che il risultato sarebbe molto più originale.

Inverse Records

Voglio mettere in contrapposizione due brani molto diversi perché rappresentano quello ce potrebbe essere stato e quello che invece a tagliato i rami di questo disco.
Throughout the Ages apre il disco e presenta un giusto compendio tra tutti gli elementi di questo disco. C'è una grande impronta progressive messa in comunione con il mondo più hard rock. Non è sicuramente l brano più originale mai ascoltato ma funziona bene.
Consumer Heaven invece ci mostra l'altra faccia della medaglia. E' un brano che tranquillamente potrebbe sembrare del repertorio solista di Bruce Dickinson. Il tipo di lavoro vocale è eccessivamente identico, tanto da oscurare tutta la parte interessante.


Return to Void corre un grande rischio, quello di essere ricordato come quel disco che sembra Dickinson ma non lo è. Questo capita per via di certe canzoni dove il lavoro vocale richiama troppo quello del cantante inglese. Invece tutte le altre canzoni hanno degli elementi interessanti, suonati molto bene e questo fa capire che il potenziale per fare delle belle cose c'è tutto. Per quello do il beneficio del dubbio a questa band finlandese, sperando che il loro prossimo lavoro permetta di vedere molto più di proprio.

Voto 6,5/10
Return to Void - Return to Void
Inverse Records
Uscita 26.04.2017

Pagina Facebook Return to Void

venerdì 21 aprile 2017

Arctic Sleep - Arbors/The Passage of Gaia: un mondo perfetto

(Recensione di Arbors e Passage of Gaia degli Arctic Sleep)


Uno degli aspetti che escono più ricorrentemente nelle conversazioni che ho il piacere d'intraprendere con tanti artisti è che, per fare certi generi di musica, devi essere mosso dalla passione e basta. Mi sono sentito dire innumerevole volte che un guadagno economico è un'illusione e che, anzi, molto spesso si spende fior di quattrini per assecondare tutto quello che c'è intorno all'attività musicale. Da una parte è molto triste che sia così, perché ci sono delle proposte talmente valide che sarebbe molto interessante vederle nelle giuste vetrine permettendo a chi le fa di vivere di quello. D'altra parte però, è un filtro molto interessante, perché fa arrivare alla fine soltanto chi è veramente mosso dal proprio amore musicale.

La carriera degli Arctic Sleep è soprattutto legata ad un personaggio, Keith D, polistrumentista statunitense. E' lui a reggere il peso di questo progetto, essendosi, a tratti, affiancato ad altre persone, ed in altri momenti portando avanti da solo il lavoro della band. Questo non ha compromesso la possibilità di avere diversi album all'attivo e di promettere l'uscita di nuovo materiale. Quest'oggi mi ritrovo a parlare non di un nuovo disco ma della riedizione di due lavori della band, Arbors, edito nel 2012, e Passage of Gaia, del 2014. La riedizione di questi lavori, quarto e sesto disco della band, è sicuramente giustificato dalla necessità di far conoscere questa musica al grande pubblico ed è giustissimo fare così. Perché? Perché l'insieme di elementi che gli Arctic Sleep mettono in gioco dimostrano di aver a che fare con una band assolutamente interessante, in grado di produrre dei lavori assolutamente all'altezza di grandi nomi, come per esempio Devin Townsend.

Arbors/Passage of Gaia

E', infatti, quello il paragone più importante che si può fare, visto che in comune entrambi i progetti hanno una grande impronta space metal che strizzano l'occhio al progressive metal. La differenza invece sta nell'approccio più doom e atmosferico degli Arctic Sleep. Il risultato è quello di brani molto lunghi che riescono con facilità a trasmettere dei determinati stati d'animo. Infatti la grande qualità di questi due dischi sta nel modo "gentile" col quale si viene infatuati dalla musica. In quel senso è fondamentale l'approccio tranquillo della parte vocale, sempre pulita, molto piacevole.

Arctic Sleep

C'è qualcosa di particolare nello space metal, un modo di essere cosmici molto diverso da quanto è cosmico lo psych metal. E' qualcosa di fatato che ti prende e ti proietta in una dimensione diversa. Ecco quello che succede ascoltando questi due dischi. Arbors e Passage of Gaia sono un portale verso un'altra dimensione dove tutto sembra essere perfetto. Dove nulla è fuori posto e dove non esiste alcuna forma di male. Utopico, onirico, fantascientifico. Questi sono gli elementi della musica degli Arctic Sleep.

Arctic Sleep


Visto che sono due dischi quelli che vi sto raccontando vado a pescare una canzone per ogni album, in modo di farvi anche capire quali sono le differenze tra entrambi i lavori.
Per quanto riguarda Arbors prendo l'ultima traccia, Release the River. Al suo interno troviamo una moltitudine di cambi che danno la certezza di essere di fronte ad un lavoro progressivo. Ma la cosa molto interessante è che anche se ci sono tanti cambi, tra l'acustico e l'elettrico, tra gli aspetti ambient e quelli più doom, e dunque c'è l'utilizzo di ritmiche spinte, tutto scivola via con tranquillità e normalità, come se tutti i pezzi di questo puzzle dovessero svelare il risultato finale e null'altro.
Invece per Passage of Gaia prendo come esempio il brano Green Dragon. Naturalmente tante cose sono comuni tra i due lavori ma questo brano presenta già un aspetto che non c'è nel primo disco, cioè la presenza di una seconda voce femminile. Ed un altra volta il paragone con quello che fa Devin Townsend, che spesso e volentieri utilizza il sopporto di qualche cantante femminile, viene fuori facilmente. Non è l'unico aspetto che risalta, ma anche l'intenzione. Questo secondo disco è molto più diretto, sembra essere più concreto e diretto, senza tante contaminazioni come il primo. In tutti i casi la coda del brano ci permette di vedere che l'apertura a mettere nuovi elementi nella musica c'è sempre, ma con quel tocco particolare.



Arbors e Passage of Gaia sono delle opere massicce, solide nella loro perfezione, nella cura del suono, nel modo che arrivano all'ascoltatore. Per quello fa specie che un progetto come Arctic Sleep non abbia sempre vita facile. Sicuramente sono tanti gli aspetti che entrano in gioco perché le cose vadano così, e personalmente non sono all'altezza di sapere e spiegare tutto, ma indubbiamente questi lavori meritano una grande platea, per quello questa nuova edizione è più che benvenuta.

Voto 8,5/10
Arctic Sleep - Arbors/Passage of Gaia
The Church Within Records
Uscita 21.04.2017

Sito Ufficiale Arctic Sleep
Pagina Facebook Arctic Sleep

giovedì 20 aprile 2017

Slut Machine - Slut Machine: un tuffo nel passato

(Recensione di Slut Machine degli Slut Machine)


In tanti ambiti le caratteristiche proprie di un'epoca non vengono capite se non dopo un po' di tempo. Come se fosse necessario allontanarsi per poi guardare indietro e capire cosa è stato lasciato alle spalle. Anche per la musica è così. Quando è passato poco tempo è difficile inglobare tutto quello che capita a livello musicale. Bisogna lasciare una distanza prudente e poi esprimersi. E' allora che emerge con chiarezza un suono e delle caratteristiche particolare da associare ad un decennio.

Oggi vi parlo di una band norvegese chiamata Slut Machine, da non confondere con l'omonima all female band italiana. La storia di questo gruppo è particolare perché dopo la loro nascita nel 1993 riuscirono ad avere grandissimi consensi fino al punto di firmare un contratto con la Roadrunner Records. Per un motivo e l'altro non sono mai arrivati a pubblicare un disco con loro, però. Nel 1998 la band si scioglie. Bisogna fare un salto fino ai giorni nostri per ritrovarli, intesi a rivivere la loro carriera. Come prima tappa la Apollon Records si è interessata nel pubblicare il loro disco di debutto che fino ad oggi era rimasto alla portati di pochi privilegiati. 
Questo passaggio è fondamentale per capire che cosa abbiamo di fronte. Slut Machine, che è anche il titolo del disco, è un lavoro "vecchio" di una ventina d'anni. Per quello il suo sound ci riporta immediatamente a quelli anni 90 dove il thrash e l'hardcore regnavano anche fuori alle cerchie strettamente metal. Ascoltando questo disco vengono fuori un sacco di paragoni con band leader di quell'epoca, come i Pantera, gli Slayer o i primi Metallica

Slut Machine

Siamo nel pieno degli anni 90, anni che musicalmente sono stati drasticamente diversi da quelli attuali. In quell'epoca il metal era alla portata di un grande pubblico e non aveva questo aspetto di nicchia che purtroppo ha acquisito negli anni. Non era strano accendere la televisione e ritrovarsi qualche video di qualche band thrash o heavy metal e, posteriormente, anche le prime incursioni nu metal. Per quello questo Slut Machine è un perfetto modo di capire cosa succedeva in quei anni. Il suo suono nasce sicuramente nel thrash ma si espande fino a toccare altri mondi come quello dell'hardcore essendo in un certo modo un precessore di quello che sarebbe stato il nu metal. Brani molto energici, intrinsechi di un'attitudine forte. Chitarre scatenate in riff pesanti sui quali si adagia una linea vocale che ricorda il timbro di Tom Araya. Una base ritmica molto ricca completa il quadro di questo disco. 

Ascoltare Slut Machine è fare un salto indietro nel tempo. Sono molte le domande che vengono fuori e che hanno, soprattutto, a che fare col punto che abbiamo raggiunto. Come mai l'impeto più commerciale a sovrastato qualsiasi dimostrazione artistica? Un disco come questo 20 anni fa sarebbe stato facilmente trasmesso da parecchie radio, perché era la normalità. Adesso è diventato "privilegio" di pochi. Triste, molto triste.

Brani che riescono a far capire cosa c'è in questo disco:
I Love You. Introduzione alla Sepultura e sviluppo alla Pantera. Un titolo che sembra contraddittorio col genere musicale, ma funziona benissimo. Potente e conciso.
 Isle of Pain. Il gioco di effetti aggiunti alla voce espandono gli orizzonti della band. Siamo di fronte a una canzone marcatamente anni 90. L'hardcore sembra prevalere e regala un esempio ottimo di come si faceva musica.
All American Superbug. Vi ricordo che vi sto raccontando un album che doveva uscire 20 anni fa e che è suonato da una band norvegese. Questo brano permette di vedere una grande particolarità, cioè quella di guardare più verso gli Stati Uniti musicalmente parlando e, qualche volta, anche a livello di testi. Questo è un testo pre 11 Settembre ma tematiche come il terrorismo venivano già a gala. 

Fa specie pensare che questo disco non vide la luce appena uscito. Questo è un lavoro che non ha nulla da invidiare a tanti dischi usciti in quelli anni. Gli Slut Machine avrebbero perfettamente essere protagonisti di un movimento musicale vivissimo e pieno d'attività. Adesso ci rimane la curiosità di ascoltare materiale nuovo e di capire quanto peso avrà avuto il tempo.

Voto 8/10
Slut Machine - Slut Machine
Apollon Records
Uscita 21.04.2017

lunedì 17 aprile 2017

Uneven Structure - La Partition: la convivenza del tutto

(Recensione di La Partition degli Uneven Structure)


Una delle domande alle quali non c'è mai una risposta unica è quella di come si compone nella musica. Ciascun artista usa un modo diverso, che non corrisponde ad alcun modo prestabilito. Ci sono gruppi dove la personalità di uno o più membri spicca molto di più ed è nelle loro mani, e teste, che nasce tutto. Altri gruppi sono riusciti ad acquisire una personalità collettiva così importante da fare tutto insieme. Insomma, su quello non ci sarà mai una regola fissa. Invece, quello che potrebbe essere molto più facilmente spiegabile, è perché qualcosa suona in un modo piuttosto di un altro. Alla fine ognuno di noi è figlio del suo proprio percorso, delle cose che ha vissuto, delle persone che ha incontrato, della musica che ha ascoltato. E' difficilissimo, se non impossibile, che qualche gruppo componga dei brani che si distanzino sostanzialmente dagli ascolti dei membri del gruppo. Ma di questo rimescolare nasce la novità.

La Partition

Gli Uneven Structure non fanno segreti delle loro intenzioni all'ora di scrivere musica. Nei loro brani cercano di mettere insieme gli elementi caratteristici di tre mondi musicali importanti: il tecnico, il progressivo ed il metal. Tre anime che convivono pacificamente ed armonicamente nel loro secondo LP intitolato La Partition. Questa convivenza è interessante perché definisce perfettamente la musica della band francese. Questo loro disco è tecnico senza essere pedante ed accademico, questo disco è progressivo senza cadere in quella trappola dove la forma diventa più importante della sostanza, questo disco è metal perché da lì pesca influenze, suoni e parti senza essere mai unidirezionale. Ma tutta questa varietà trova spazio in questo disco essendo equilibrato, nuovo e personale. Tutto quello che succede in questo lavoro da l'idea di venire fuori in modo naturale, senza forzature. 

La Partition

Vi parlavo di questa convivenza non solo pacifica ma anche costruttiva. Infatti i brani che compongono La Partition sono dei brani diventano dei veri e propri contenitori di provocazioni sonore che vengono da quei tre mondi principali; sono tecnici nella loro precisione, nella pulizia del suono molto articolato portando alla mente gruppi come i TesseracT; sono progressivi in quel modo di svilupparti orizzontalmente utilizzando spesso e volentieri delle poliritmie ricordando quest'interpretazione moderna del metal progressivo portato avanti da gruppi come i Textures, e, ed ecco il punto più interessante secondo me, sono metal, nell'accezione più moderna del termine, grazie a sonorità che spaziano tantissimo tra la musica di tanti gruppi. Infatti gli Uneven Structure, oltre a far ricordare i due gruppi precedentemente nominati, fanno pensare a gruppi come A Perfect Circle, ma anche ad altri come i Deftones. Questo a dimostrare la varietà di elementi messi in gioco, dando senz'altro un'interpretazione moderna di quello che è l'evoluzione del metal e dei suoi derivati in questi ultimi anni. 

La Partition ha un'altra caratteristica importante. E' un disco che intreccia tutti i brani tra di loro dando un'immagine globale, come se fosse un'opera da apprezzare nel suo insieme. Tutto va in quella linea, tutto è un confluire di fiumi che finiscono in questo grande mare sonoro chiamato Uneven Structure. Per quello ascoltando questo disco si ha l'impressione di essere di fronte a tanti elementi singoli ma tutti trovano una coerenza ed una naturalità. 

Uneven Structure

Ho scelto due brano da guardare più da vicino.
Il primo è Incube. Qua sentiamo inizialmente delle linee che potrebbero perfettamente venire fuori da un disco dei A Perfect Circle per dopo entrare in un discorso progressivo che ci porta da tutta un'altra parte. Ecco l'esempio perfetto di quello che succede in questo lavoro, dove l'evoluzione di un proprio pezzo non si racchiude a pochi cambi ma si presta ad un eterno andar e venire di suoni e di parti. Ma questo brano ha anche qualcosina in più, ha un tocco più persona ed introspettivo. E' molto bello.
Il secondo è Our Embrace. Anche qua non siamo di fronte al brano più esplosivo del disco ma se ho scelto queste due canzoni è per dimostrarvi la varietà messa in gioco dalla band riuscendo sempre ad avere grandi risultati. Questo è un brano un po' più "nebbioso", pronto a giocare con la parte più atmosferica della band, capace di creare degli ambienti molto definiti sono ci si cade vittime di un incantesimo. 


Lo ripeto un'altra volta, perché è importante ribadirlo. La Partition è un lavoro che sorprende per la sua naturalità tutt'altro che immediata e facile. C'è un equilibrio e non solo tra i diversi elementi che mettono in piedi questo disco. Il sound degli Uneven Structure viene fuori dal compendio che si riesce a creare con tutti le influenze della band, e il risultato, invece di essere un forzato collage è una creatura di una personalità molto ben definita. Funziona perfettamente.

Voto 8,5/10
Uneven Structure - La Partition
Long Branch Records
Uscita 21.04.2017

sabato 15 aprile 2017

Les Discrets - Prédateurs: l'arte è sempre avanti

(Recensione di Prédateurs di Les Discrets)


Proprio mentre scrivo queste linee la tensione internazionale tocca dei punti così alti come non era successo da parecchio tempo. In un certo modo tornano paure antiche di guerre nucleare con conseguenze impensabile che fino ad adesso sono state immaginate solo nei romanzi fantascientifici. Io sono abbastanza ottimista per natura e mi è difficile pensare ad uno scenario apocalittico, ma soltanto l'idea che nelle menti di certi leader ci sia la possibilità di radere al suolo un'intera nazione "nemica" fa capire che l'uomo è diventato un predatore pronto a distruggere il suo simile solo per primeggiare. Ed è tristissimo.

Prédateurs

Nella mente di Fursy Teyssier non c'era la consapevolezza di una situazione del genere quando ideò Prédateurs, terzo album di Les Discrets, ma, da grande sensibilità artistica, era facile riassumere l'evoluzione dell'umanità in quel concetto: il predatore. 
La direzione che stava intraprendendo la band francese era stata già svelata con l'EP Virée Nocturne, che vi ho recensito qui, ma il quadro non era assolutamente completo. Mancavano degli elementi per capire il perché di un importante cambiamento musicale. Questo nuovo disco non solo lo spiega ma permette di fare dei parallelismi interessanti. Mi vengono in mente due gruppi, i Kayo Dot e i Klimt 1918, che son i loro ultimi dischi hanno abbracciato altre sonorità "nuove" che, se bene non siano simili a quelle di Les Discrets, hanno qualcosa in comune. Dal cosmico ed universale si passa all'urbano, alla definizione dell'habitat dell'uomo.

Prédateurs

Ma concentriamoci sullo sguardo della band di Lyon. Anzi tutto questo sguardo è poesia, è nostalgia, è solitudine ed è intrinseco di un romanticismo particolare che la letteratura francese ci ha spesso regalato. D'altra parte questo sguardo è quasi cinematografico. E' costruito con la cura di un bravo direttore di fotografia, che sa che un film diventa arte non soltanto per la storia che racconta ma per come la racconta con le immagini, con la scelta delle inquadrature e delle luci. Questo Prédateurs ha tutto ciò. Ha la scelta di fare qualcosa di diverso da tutto quello che avevano fatto Les Discrets fino ad adesso perché c'era bisogno di raccontare la storia in un modo diverso. 

Prédateurs

Musicalmente il cambiamento è abbastanza significativo perché lo shoegaze ed il post rock dei lavori precedenti sembrano scomparsi. Sembrano, ma in realtà ci sono piccole sfumature che dimostrano che ci sono ancora. Il protagonismo di Prédateurs è riservato ad un'impronta elettronica che si sposa perfettamente con i restanti strumenti. Per quello possiamo parlare di trip hop, di dark ambient e di una, troppo generica, conversione indie rock. La cosa bella è che tutto è condito dagli elementi che prima vi ho descritto. C'è un oscuro e poetico romanticismo che rimane il legame fondamentale col passato di Les Discrets. Tutto è ben curato, è bellissimo, è affascinante come un vestito di pizzo nero su una pelle bianca. Non ci sono eccessi, c'è un equilibrio ben ragionato sul protagonismo riservato all'elettronica e il ruolo che deve avere. Per quello quella parte non è mai invasiva ma crea la base ideale per lo sviluppo strumentale del brano e l'adagiarsi delle voci.

Prédateurs

Prédateurs è un album di resa. E' un album che fa venire in mente l'immagine di un personaggio favoloso, diverso da tutti gli altri, che si siede ad osservare l'autodistruzione dell'uomo con la consapevolezza che prima o poi sarebbe successo ma con un'infinita tristezza. E' un album di ombre, di luci artificiali, di vicoli e di distacco. Les Discrets creano un'opera poetica che è un arma a doppio taglio, perché può sembrare finzione ma, nello stesso momento, è così reale da far male. 

Les Discrets

Due dei brani di questo disco erano già stati svelati grazie all'EP Virée Nocturne, dunque mi concentrerò sulle altre canzoni andando a consigliarvi soprattutto queste qua:
Les Amis de Minuit. Già dal titolo si capisce che l'anima di Les Discrets è la stessa di sempre. Che guardare dall'ombra è il loro mestiere, che è una band che osserva per riflettere e poi parlare.
Fleur de Murailles. Bellissima. Poesia pura. Su questo brano l'elettronica è fondamentale a dare una dimensione eterea sulla quale le voci ci guidano. 



Con Prédateurs si può imparare una lezione importante. Cioè che per raggiungere un risultato bisogna far confluire tutte le energie adattandosi. E' quello che hanno fatto Les Discrets, perché difficilmente questa storia poteva essere raccontata diversamente. E per quello rimane l'idea che nei prossimi dischi ci sarà sempre un avvicinarsi alla dimensione ottimale facendo i cambiamenti necessari per arrivare meglio a trasmettere non solo musicalmente quello che si vuole trasmettere. Qua ci sono riusciti alla grande.

Voto 9/10
Les Discrets - Prédateurs
Prophecy Productions
Uscita 21.04.2017