venerdì 31 marzo 2017

sleepmakeswaves - Made of Breath Only: quando la musica si tocca e si osserva

(Recensione di Made of Breath Only degli sleepmakeswaves)


C'è qualcosa di più visivo, colorato ed emotivo del post rock? Esiste un genere qualsiasi che sia in grado di generare la stessa quantità di immagini? Chi fa post rock è un architetto che costruisce a son di note delle costruzioni che non hanno soltanto una funzionalità pratica, ma che sono piene di arte.

Queste prerogative sono tutte presenti in Made of Breath Only, terzo LP degli australiani sleepmakeswaves. Disco allineato completamente con le maggiori pubblicazioni di post rock, ha visto la luce grazie ad una campagna di crowdfunding che ha raccolto la per niente frivola cifra di 40 mila dollari. Quello che l'ascoltatore si troverà di fronte sarà, come nella migliore tradizioni di questo genere di lavori, un album che costruisce strumentalmente delle storie o dei concetti, delle idee o delle emozioni. E queste costruzioni sono molto effettive, illustrano perfettamente, e in modo corale, le intenzioni della band. Si sente la loro impronta, il loro modo di scrivere e di intraprendere una direzione ben definita che regala per gli sleppmakeswaves un posto riservato in quest'orizzonte chiamato post rock. Essendo molto facile cadere nella comparazioni con mostri sacri di questo genere è interessante vedere che cosa di nuovo ci regala questo Made of Breath Only. La differenza essenziale con tanti altri gruppi sentiti è che l'origine musicale dei quattro musicisti della band non ha soltanto delle radici dentro al mondo del post rock ma non disdegna a utilizzare sfumature più legate all'hard rock e certe incursioni che mettono insieme jazz  e rock progressivo. Aggiungiamoci qualche pennellata d'elettronica e il quadro dovrebbe essere abbastanza chiaro.

Made of Breath Only


Musicalmente credo di aver reso l'idea di quello che c'è dentro a Made of Breath Only, per quello voglio adesso orientarmi maggiormente su quello che ha a che fare con il trattamento sonoro dato dagli sleepmakeswaves. La prima cosa da dire è che la strada intrapresa dalla band australiana è una strada abbastanza luminosa, e anche se abbiamo a che fare con canzoni che suggeriscono tematiche più buie, per esempio The Edge of Everything o Midnight Sun, il risultato è sempre speranzoso, grandiloquente, come se abbracciassimo una saggezza importante. Infatti le tematiche trattate sono sempre suggerite da un concetto, da un'idea iniziale, un'immagine che trova poi uno sviluppo ed un approfondimento attraverso la musica della band. E' molto interessante questo punto di vista, questo modo di vedere tutto da una prospettiva distante ma molto sentita contemporaneamente. Come se il narratore cambiasse spesso, passando da raccontare in prima persona a farlo in modo più onnisciente. 

Made of Breath Only è uno di quei dischi che ti fanno pensare che la vita sia bella. Quando arriva la fine delle canzoni c'è un sorriso stampato in faccia e la voglia di uscir a correre per strada. E' un disco da viaggio, non solo perché fa viaggiare ma anche perché è l'alleato ideale di percorsi lunghi, col vento in faccia e gli occhiali da sole a completare una specie di rituale di pace e felicità. Questa è la grande capacità degli sleepmakeswaves che ci regalano un disco di ottimismo, di quella sovraesposizione voluta, quando c'è bisogno di fare entrare quanta più luce possibile. 

sleepmakeswaves

Due brani da presentarvi più esaustivamente.
Il primo è Tundra. L'ho selezionato perché credo che serva a capire la differenza musicale della band con altri esponenti del mondo del post rock. C'è un tocco, che dipende soprattutto dalle chitarre, che regala un'impronta hard rock, fatta da riff ricorrenti ed ostinati. In tutti casi non bisogna pensare che si tratta di un brano hard rock perché non lo è proprio, pesca soltanto quella caratteristica.
Il secondo è Glacial e se l'ho scelto è perché permette di capire qual è la capacità costruttiva della band. Con questo brano si sente il giacchio ed il freddo. Si vedono distese di giacchio immense dove il bianco contrasta con un cielo prepotentemente blu. E il sole incrementa ulteriormente questa sensazione di luminosità così forte da far male agli occhi.



Made of Breath Only è materiale, sleepmakeswaves sono i costruttori. Il risultato delle loro creazioni ha sostanza, solidità ed un infinità di testure da scoprire. Per quello è un disco che oltre ad ascoltarsi va anche toccato ed osservato. E' un luogo così piacevole da non voler andare via.

Voto 8,5/10
sleepmakeswaves - Made of Breath Only
Pelagic Records
Uscita 31.03.2017

Sito Ufficiale sleepmakeswaves
Pagina Facebook sleepmakeswaves

giovedì 30 marzo 2017

Buioingola - Il Nuovo Mare: tuffarsi nelle acque oscure

(Recensione di Il Nuovo Mare dei Buioingola)


Che cos'è il buio? E' una sostanza, uno stato d'animo, è la fine, l'inizio o una tappa transitoria? Ha profumo il buio? E' tangibile il buio? Ci si abitua mai al buio?

Troppe domande che girano intorno a uno degli elementi che hanno dato il via a un numero infinito di composizioni. Il buio vissuto in tanti modi diversi, il buio schematizzato, il buio visto come una risposta provocatoria all'eccedenza di luce, il buio inscrutabile che ancora esiste, quello degli abissi dove, ancora, si conosce ben poco. Sono sicuro che il buio in svariate dimensioni ricopra la musica dei toscani Buioingola. Sono sicuro che s'insinua prepotentemente in ogni singola nota da loro suonata. E sono sicuro che Il Nuovo Mare idealizzato dalla band sia un mare di acque dense ed agitate nelle quali la luce fa fatica ad entrare. Lo sono perché è la musica a suggerirmelo, a mostrarmi un insieme volutamente indefinito dove la dimensione artistica del buio si esalta. Per quello questo disco, che la band "minaccia" di essere il loro ultimo lavoro, è acido, fastidioso per l'assenza di "pace", aggressivo e profondamente oscuro. Ma di fronte a qualcosa di misterioso ci sono due vie: scappare o conoscerle. Per quello per chi su tufferà in questo mare, dopo essersi abituato alla mancanza di luce ci saranno delle sensazioni di grande bellezza, rara e ricercata.

Il Nuovo Mare

I Buioingola sono in tre ma le loro scelte musicali portano ad avere un suono pieno, grosso, massiccio, dove l'elettronica viene a riempire quelli spazi vuoti lasciati volutamente lì. Questo Il Nuovo Mare ha l'aggressività del crust punk e di certi elementi black metal, ha la cadenza deprimente del doom o della new wave decadente, ma ha anche la capacità onirica del shoegaze  o del post punk. Aggiungiamoci la parte industrial, che richiama il lavoro fatto dagli OvO, e il quadro sarà abbastanza completo. Non ci sono confini oltre all'intenzione di muoversi nel buio, alla ricerca di un qualcosa d'impreciso, forse di una via di fuga al luccichio eccessivo che ci bombarda continuamente.

Un disco controcorrente, questo Il Nuovo Mare. Un disco dove i Buioingola fanno confluire pensieri, emozioni e sentimenti in quest'immenso oceano che sembra infinito, pericoloso, inquietante. Ma ricordarci la sua presenza è l'unico modo di andar avanti, bisogna convivere con i propri fantasmi. Anzi bisogna diventarci amici, perché è lì che c'è l'insegnamento e l'arricchimento personale. Per quello quando si rompe quella lastra di ghiaccio e ci si addentra in queste acque gelide si scopre un mondo di rara bellezza, riservato a quei pochi coraggiosi che non hanno sentito il coro d'avvertimenti dissuasivi e hanno deciso di avventurarsi oltre.

Buioingola

Due brani da segnalarvi con piacere.
Il primo è Eclisse. Un inizio doom che ci porteremmo appreso per tutta la durata del brano con un ossessivo suono di campane che sarà la guida del brano. Ma l'abilità del gruppo sta nel contaminare il tutto andando a confinare nei mondo del black metal con certe incursioni industrial.
 Il secondo è il brano di chiusura di questo disco: Il giorno dopo. Oscurissimo e bellissimo, brano dissacrante per via dell'atmosfera intima che riesce a ricreare. Ricorda le prime cose dei Katatonia ma con uno sguardo italiano, qualcosa difficile da definire e che non ha soltanto a che fare con l'aspetto linguistico.



Sarebbe un peccato che Il Nuovo Mare si trasformi nell'ultimo disco dei Buioingola, perché questa loro interpretazione della parte oscura della vita è assolutamente interessante e sorprendente, trovando un riflesso nell'insieme di generi che confluiscono per formare il loro linguaggio musicale. Ma se così fosse bisogna tuffarsi con gusto e senza paura in questo oceano oscuro.

Voto 8/10
Buioingola - Il Nuovo Mare
Sentient Ruin Laboratories
Uscita 31.03.2017

mercoledì 29 marzo 2017

1476 - Our Season Draws Near: un faro di luce lunare

(Recensione di Our Season Draws Near degli 1476)


Tutto e tutti siamo dei permanenti processi. La vita stessa è un processo indefinito che cerca di raggiungere certi obiettivi e certe idee. Quella che chiamiamo esperienza è un processo che ci porta ad arrivare a certi lidi. Il processo può avere diverse tappe e non è per forza lineare. Perché la distruzione è parte del processo, la rinascita, la ricostruzione. Sono tutti elementi fondamentali per conformare quel che siamo. Non dobbiamo mai fermare quel processo, perché è il motore che ci muove.

Our Season Draws Near

La musica degli 1476 mi è arrivata con forza l'estate scorsa, quando la Prophecy Productions mi diede la possibilità di ascoltare Wildwood/The Nightside, lavoro che metteva alla luce del grande pubblico i primi passi di questo duetto del New England. La mia recensione di quel lavoro la potete leggere qui.
Sono ben felice di avere adesso la possibilità di raccontarvi questo Our Season Draws Near perché sento che c'è una vibrazione particolare che si crea con questa band, una sorta d'incantesimo che si verifica per via della natura particolare dei due componenti di 1476. Se Wildwood/The Nightside era un lavoro "legnoso", nel senso che profumava di bosco, di natura, di saliscendi tortuosi di strade che tagliano in due il verde ed il marrone delle foreste, questo Our Season Draws Near sa di fuoco, di buio, del vento che profuma di mare. Si denota un grande passo in avanti dentro al lavoro creativo della band, che avendo un'identità ben definita approfondisce un discorso unico, scavando quanto è necessario per svelarci quello che si cella sotto terra.

Our Season Draws Near

Infatti questo Our Season Draws Near è un disco molto più incazzato, più "metal" dentro all'universo di suggestioni sonore portate avanti dai 1476. E' un disco "proibito", nel senso che sa di racconti stregati, di simboli pagani, del coraggio di avere una voce diversa in un passato intollerante. Perché la mente vola proprio lì, a quei tempi dove chi era diverso era accusato di essere un affigliato al demone, pagando, molto spesso, quella differenza di vedute, con la vita. Detto così questo potrebbe sembrare un classico disco di black metal ma c'è un aspetto fondamentale che porta tutto in un'altra direzione. La musica dei 1476 non è un manifesto di paganesimo ma è una profonda riflessione su quello che significa sentirsi diverso da tutto il resto. E' un disco profondamente introspettivo che trova dei legami con i nostri giorni. Perché, anche se molto cose sono cambiate nel tempo, ancora siamo vittime da un'intolleranza generale dove certi pensieri ed atteggiamenti vengono completamente ignorati. 

Our Season Draws Near


Già nella mia recensione scorsa sul lavoro dei 1476 avevo indicato che era molto difficile classificarli, perché le fonti musicali dalle quali questi due musicisti bevono sono tante e trovano un giusto equilibrio nelle loro creazioni. In questo Our Season Draws Near accade la stessa cosa, con la differenza che l'ago, questa volta, tende più verso la parte "metal". In tutti casi sono molto frequenti i contrasti tra l'acustico (l'intimo) e l'elettrico (l'esterno). Dunque posso dire che questo è un disco essenzialmente dark, dove quella definizione attraversa il folk, il rock e il metal. Infatti la bussola sembra portarci proprio lì, a quell'oscurità che si manifesta in tanti modi possibili. L'oscurità intima, che musicalmente può tradursi il quel dark folk, l'oscurità bella che viene celebrata, abbracciando quello che mi azzardo a definire come alternative dark rock, e l'oscurità aggressiva, senza diventare distruttiva, che viene fuori in quel dark metal che non ci deve portare a ingannarci paragonandolo con quello fatto da altri gruppi.
Difficile da definire per via dell'originalità, ma un aspetto che invece risalta subito è quello dell'importanza della voce, presente in tutte le canzoni essendo la vera guida di questo percorso, perché il compito di raccontare aspetta quasi esclusivamente a lei. Infatti la musica è un rafforzativo, un accento dato per approfondire l'ondata che ci investe.

Our Season Draws Near

Our Season Draws Near è poesia. Usa tutti gli strumenti a disposizione di un poeta per raccontare molto più oltre alle parole. Sa d'inverno, di vento, di neve, di sale, di notte e di luna. Di luna come una confidente che ogni tanto ci abbandona, ogni tanto non si vede, ma della quale abbiamo un bisogno spasmodico. I 1476 ci regalano queste nuove odi che parlano di solitudine, d'amore verso la natura, di tempi passati e, soprattutto, di libertà, di quella libertà che non si riesce mai a imprigionare o a mutilare, perché una mente libera è la potenza maggiore alla quale possiamo ambire.

1476

La varietà di questo lavoro è molto grande come vi ho illustrato in precedenza ma visto che ogni volta scelgo qualche brano che mi ha lasciato un'impronta maggiore, anche questa volta vi sottopongo un gruppetto di tre canzoni.
La prima è Ettins. Secondo brano del disco che sussegue un brano d'apertura acustica. Già con questa canzone si capisce che la band ha voglia di esprimersi con grande personalità. Per quello è energica, tribale, nostalgica ed esplosiva. Una corsa nel buio guidati dalla luna.
La seconda è Winter of Winds, preziosa nella sua capacità di introdurci in un mondo proibito e nascosto, di celebrazione oscura attesa con ansia. Una canzone che sa di rituale in mezzo al bosco, di strane danze intorno al fuoco. E' l'eco di un tempo che non c'è più.
L'ultima è Solitude (Interior). Contrapposta a Solitude (Exterior) è forse il brano più dissacrante dell'intero disco. Per quello è l'unico brano dove viene usata la voce growl, dettaglio tutt'altro che minore. E' un'anima devastata da una solitudine in parte cercata ed in parte imposta. E' affascinante vedere come, ancora una volta, la nostra natura interna possa essere messa a nudo.



Con Our Season Draws Near i 1476 danno una dimostrazione di forza, dove il loro processo di creazione di una loro impronta inequivocabile ha vissuto un passo fondamentale. Si sente la sicurezza e la forte personalità  della band che sa prendere gli elementi giusti per rafforzare la loro propria poetica. Così come il faro raffigurato sulla copertina del disco rimane l'impressione che loro ci saranno sempre, pronti a guidare con luce lunare i coraggiosi che si addentreranno nel buio di una notte invernale.

Voto 9/10
1476 - Our Season Draws Near
Prophecy Productions
Uscita 31.03.2017

lunedì 27 marzo 2017

Telepathy - Tempest: quando la tempesta è dentro di noi

(Recensione di Tempest dei Telepathy)


Qualche mese fa, intervistando il cantante di un gruppo, è venuto fuori che la loro fonte maggiore d'ispirazione provenisse dall'osservazione del paesaggio rurale. Riflettendoci sopra quello che molto spesso denoto nella musica è proprio la differenza tra l'ispirazione rurale, o naturalista e quella urbana. E' incredibile come entrambe le cose riescano a far nascere delle composizioni che denotano fedelmente la fonte d'ispirazione. 
La musica urbana è molto più "futurista", grigia, a tratti spensierata. Quella rurale, o naturalista, è più grandiloquente, colorata, epica. Io non scelgo ne l'una ne l'altra, perché in entrambi gli insieme ci sono cose che mi appassionano profondamente, ma m'interessava fare questa distinzione, che non è minore.

Tempest

Partendo già dal titolo del disco che vi racconto quest'oggi è facile accostare questo disco all'insieme di lavori ispirati nella natura. Il disco si chiama Tempest ed è il secondo lavoro degli inglesi Telepathy. Il trucco, però, che è al centro di questo lavoro e che regala tutta la grazia è che la "tempesta" raccontata non è quella meteorologica ma bensì quella interna di una persona. Verrebbe facile pensare allora che questo sia un disco urbano ma dal mio punto di vista non è. Perché? Perché noi siamo parte della natura, siamo il riflesso di quello che succede lì e continuiamo ad essere il nulla di fronte a lei. Per quello penso che la metafora sia servita, che le vicende in un giorno di vita di una persona possano essere paragonate ad un fenomeno così maestoso come una tempesta. 

Tempest

Tranne in un brano l'intero Tempest è completamente spoglio di parole e di voce. Per lo tanto il compito dei Telepathy è quello di raccontare tutto quanto con la musica. Il loro punto di partenza trova dei paragoni molto validi nella musica portata avanti da gruppi come God is an Astronaut o Russian Circles ma la cosa interessante, e bellissima, è che oltre a quell'impronta di post rock c'è una grande apertura che porta la band a suonare delle cose che invece potrebbero essere inglobate nel post metal o in un particolare progressive sludge, non disdegnando neanche delle strizzatine d'occhio verso il doom o l'utilizzo di ritmiche marcatamente black metal. E' per quello che il discorso musicale della band inglese è bellissimo, sorprendente e, ancora una volta, ci porta a capire che la musica è infinita, che ci sono tantissime vie da percorrere, e che una inedita è quella dei Telepathy.

Tempest

Una tempesta è un fenomeno impressionante, bellissimo, che sprigiona una quantità d'energia immensa. La musica dei Telepathy è la stessa cosa. Si preannuncia con piccoli segnali che crescono e crescono fino a diventare un'onda inarrestabile, violenta, dissacrante. Successivamente si aprono piccoli spiragli dai quali si filtra la luce facendo capire che è un nuovo inizio. Questa è Tempest, questa è la storia di una persona, che vede come la sua propria vita viene distrutta violentemente e senza via di scampo per poi intravedere una rinascita, una possibilità di affrontare ancora una volta la vita a testa alta, perché, anche se è una grandissima ovvietà, dopo la tempesta viene sempre il sereno. 

Telepathy

Due brani da segnalarvi.
Il primo è l'unico brano cantato. Si chiama Echo of Souls ed è la perfetta dimostrazione della versatilità della band che non ha problemi a lasciare la parte strumentale per buttarsi dentro ad un brano che ha tutte le sembianze sludge. Ma questo processo non è veloce, è studia/to, è originale, muta fino a sembrare una canzone black metal quando il punto iniziale 
era post rock. Cose che potrebbero non aver nulla in comune ma che, invece, si uniscono alla perfezione con una coerenza disarmante. Un trionfo.
Il secondo è Water Divides the Tides. Se il primo brano era forte, energico, oscuro questo qua è molto più luminoso, piacevole, incantevole. E' il brano che rappresenta la rinascita, è la reazione, è la consapevolezza di qualcosa di nuovo e della capacità di governare da soli le nostre vite. Per quello quando ci sono, ancora una volta, delle incursioni nella ritmica black metal invece di essere qualcosa di oscuro ed aggressivo c'è un'energia luminosa che si traduce in quel modo di suonare. Brano maestoso.



Ci sono due elementi importanti in questo disco: l'acqua e il cerchio. Il secondo si verifica nel modo che si sviluppa questo lavoro, che inizia e finisce con la bellezza, con la morbidezza, con elementi tanto belli quanto fragili. Il cerchio, il ciclo, perché le nostre vite ne sono piene, perché ogni giorno è qualcosa che si apre e si chiude. L'acqua è invece la metafora perfetta di quello che è il senso di devastazione e posteriore rinascita. L'acqua è vita, ma è anche distruzione, l'acqua è fondamentale ma diventa anche ingovernabile. Per quello questo disco è Tempest, per quello ascoltandolo ci si sente d'affogare per poi avere una sete implacabile. 
Questo lavoro ci regala una storia bellissima, raccontata magistralmente dai Telepathy, che non rinunciano ad alcun elemento per riuscir a raccontarla bene, a farcela entrare in mente e a voler risentirla. Benvenuta tempesta.

Voto 9/10
Telepathy - Tempest
Golden Antenna Records
Uscita 31.03.2017

sabato 25 marzo 2017

Owun - 2.5 : motore, luce ed onestà

(Recensione di 2.5 degli Owun)


L'onestà di fronte a tutto. Questa è l'arma vincente che paga nella musica. Ben poco importa quello che si fa, ma quando c'è l'onestà va tutto bene. Non bisogna mai scendere a compromessi, anche se molto spesso questo significa intraprendere strade molto più tortuose. Ho sempre avuto l'impressione che l'onestà si sente, si percepisce in qualunque modo, che un brano suonato col cuore arriva sempre alla testa dell'ascoltatore, invece uno costruito a misura non riuscirà mai a andare nel profondo.

2.5

Osservando da lontano la storia degli Owun, band francese, è facile intravedere delle tappe e dei cambiamenti. Attivi dal 1992 la loro carriera è stata piena di pause, di cambi di formazione e di adattamenti musicali. Ma quello che arriva ascoltando questa loro ultima fatica, intitolata 2.5 è una grande onestà. Onestà che mette insieme i diversi generi masticati dalla band dando nascita ad un linguaggio proprio che non trova paragoni in altre band esistenti. C'è una componente sarcastica molto interessante nella musica di questo gruppo. Componente che potrebbe essere alla radice di quest'insieme di elementi, come se la loro musica facesse parte della colonna sonora di qualche commedia noir. Infatti le note di questo disco sono facilmente accostabili a delle immagini che sfilano davanti ai nostri occhi a 25 fotogrammi al secondo.

2.5

Sicuramente quella capacità visiva è associabile al profilo post rock presente nella musica di questo 2.5, ma, come dicevamo prima, questo è solo uno dei pezzi di questo puzzle che si completa con del noise e una dose interessante di rock sperimentale. Le armonie sono ricercate, spesso acide, le strutture sono variabili e anche se la maggior parte della musica degli Owun è strumentale la voce trova una collocazione strategica. 

2.5

La musica di questo 2.5 non vuole essere piacevole, non vuole essere un tormentone che non lascia le nostre teste, non vuole essere facilmente canticchiabile. No, per i Owun l'importante è essere fedeli alla loro linea di pensiero, a questa concezione quasi futurista, robotica oserei dire, che ci ricorda i film fantascientifici degli anni 70. L'estetica è curatissima, delicata, molto studiata per poter così raccontare delle storie tutt'altro che semplici e tutt'altro che scontate. 

Owun

Pesco due canzoni da questo disco.
La prima è Foul. Inizia con un profilo assolutamente noise per mutare poi in un'interessante intreccio di elettronica e rock che ricorda in certi passaggi i lavori anni 80 dei King Crimson. E' quella la parte robotica, molto presente.
La seconda è Tom Tombe, delirante pezzo dove l'energia tocca le vette più alte. Forse è qui che si sente molto l'aspetto post rock ma vissuto in un modo assolutamente personale che si distoglie dall'immagine che normalmente si può avere si questo genere.



2.5 come una nuova versione. 2.5 come una misura. 2.5 come qualcosa da decifrare. La musica degli Owun è complessa, articolata ed affascinante. E' ben pensata, è libera. Avvicinarsi non è semplice, buttarsi dentro è una bella avventura.

Voto 8/10
Owun - 2.5
Atypeek Music
Uscita 24.03.2017

Pagina Facebook Owun
Pagina Bandcamp Owun



giovedì 23 marzo 2017

Térébenthine - Visions: i piedi sulla terra, la testa nell'aria

(Recensione di Visions dei Térébenthine)


Qual è il numero ideale di componenti di un gruppo? Non esiste risposta a questa domanda ma qualcosa che generalmente prevale è la sensazione che più persone ci sono in un gruppo più difficile sia trovare un equilibrio e la formula giusta per riuscire a portar avanti il progetto. Oltre a quello c'è la grande libertà che esiste nel mondo della musica ma che in queste ultime due decadi ha reso molto più naturale vedere dei gruppi con dei formati atipici o inaspettati. In quel senso il duetto batteria-chitarra è sempre più diffuso e praticato. Questo perché i due principali mondi sonori, quelli del ritmo e quello dell'armonia/melodia, vengono resi essenziali, diretti e semplici.

Visions

La batteria sulla terra, la chitarra nel cielo. Questa è la definizione che è stata regalata ai Térébenthine, duo francese del quale mi occupo quest'oggi grazie al loro LP Visions. Una definizione asciutta ma perfetta per capire la dinamica di quello che fa questo gruppo. Due mondi che potrebbero sembrare opposti ma che dialogano tra di loro, che si cercano e si rifiutano, che si allontanano per poi cercare di essere una cosa sola. Non so bene come nasceranno le canzoni del gruppo ma mi azzardo ad avanzare una mie tesi. Secondo me molto nasce dall'improvvisazione, dalla voglia, riconosciuta dagli stessi musicisti, di avere una valvola di sfogo dalla vita. Dico questo perché si nota che ci sono provocazioni sonore intraprese da uno dei due strumenti che poi vengono capite, amplificate ed incrementate dall'altro strumento. Un dialogo lungo, dunque, che aspetta la spazialità dell'immaginazione per dare risposte originali ed inattese. 

Visions

Come genere i Térébenthine ricordano in parte quello che fanno i nostrani Sdang! anche se c'è una dose di maggiore violenza pazza nella musica dei francesi. In tutti i casi Visions è un lavoro che si muove tra le acque del post rock e del math rock. Creazioni oniriche che definiscono i propri contorni col lavoro strumentale dei due ottimi musicisti. La batteria è massiccia, precisa, energica, doti che personalmente cerco sempre in un musicista del genere. La chitarra è spaziale, psichedelica, sporca, aperta. Perché sta a lei di fare il lavoro di trasporto, di fantasia, di trascendentalità. E' grazie a tutto ciò che le note contenute in questo disco sorprendono, sono inattese, sorprendenti, molto complesse. Il risultato ottimale viene garantito da un'evidente complessità e comprensione dei due componenti della band. Si capisce che c'è un grado di comprensione e d'intendimento molto alti.

Visions

E' difficile decidere che cos'è meglio, se avere di fronte un lavoro maestoso, pieno di arrangiamenti per un numero elevato di strumenti, o invece scegliere l'essenzialità di due strumenti. Questo potrebbe sembrare un tranello nella musica dei Térébenthine ma tutto quello che c'è oltre finisce per far capire che non siamo ne a un estremo ne all'altro. Questo perché i risultato finale di Visions è di una ricchezza incontenibile. Sono due strumenti che riempiono tutto quello che c'è da riempire. Che regalano un'originalità preziosa traducendo storie in musica.

Térébenthine

Pesco due brani e faccio un piccolo appunto su un terzo. Parto da quest'ultima considerazione perché nella tracklist di questo disco l'ultimo brano si chiama Jackson Martinez. Per chi non lo sapesse questo personaggio è un calciatore colombiano, ritenuto un bravo attaccante in qualche momento per poi scemare consistentemente la sua carriera andando a giocare in Cina. Ci sarebbe da chiedere alla band perché hanno scelto proprio lui come influenza di uno dei loro brani.
Invece per quanto riguarda le canzoni che più mi hanno segnato vi dico subito che la prima è Mer Noire. Bellissima nella sua triste poesia sonora. E' una canzone di desolazione dove l'aspetto post rock sommerge quello math. Ma occhio, c'è un'energia particolare in questo gruppo francese che personalizza completamente il loro discorso musicale. Una specie di spiraglio di follia che toglie la perfezione che tanti brani post rock ricercano. Volutamente la musica viene sporcata e resa unica. Perché la bellezza sta soprattutto nelle imperfezioni. Insomma, questo "mare nero" ha il nero della tristezza ma anche delle regioni occulte della nostra mente.
Il secondo brano è Goutte d'eau. Torna l'acqua come elemento protagonista. Ma la goccia in questione è complessa. Può essere delicata, quasi impercettibile, ma può essere terribile come la goccia della tortura cinese. Può essere un piccolo elemento ma può anche essere quello che fa travasare un contenitore creando una specie di piccolo tsunami. 



La cosa bella di questo Visions è l'originalità con la quale la band "racconta" queste storie. E' una narrazione sorprendente che prende in considerazione tutti i possibili sbocchi che può avere un concetto di partenza. Per quello la musica dei Térébenthine è complessa, lunga e articolata e per quello anche noi finiamo per avere i piedi sulla terra e la testa nell'aria.

Voto 8,5/10
Térébenthine - Visions
Atypeek Music
Uscita 24.03.2017


mercoledì 22 marzo 2017

Krakow - Alive: un feedback emotivo

(Recensione di Alive dei Krakow)


Una delle esperienze più interessanti ed intense che possa mai capitare nella musica è quella del live. Un concerto non è soltanto il momento nel quale una band deve far vedere quello che riesce a fare musicalmente ma è una specie di rito dove pubblico e musicisti vivono un'esperienza unica fatta di odio ed amore, di fascino e ribrezzo, di energia e di calma, di emotività e di partecipazione. Un concerto memorabile rimane impresso per sempre in ognuno di noi.

Ho sempre guardato con un po' di scetticismo i dischi che sono delle registrazioni di un concerto. Soprattutto perché è difficile ripetere soltanto con l'audio un'emozione costruita di tanti altri elementi, per esempio quello visivo. Ciononostante è innegabile che certi dischi live siano passati alla storia come pietre miliari della musica e, in certi casi precisi, le versioni live di certe canzoni sono molto più celebri di quelle di studio. Per quello mi avvicino con calma a questo Alive, primo disco dal vivo che vi recensisco. Quest'album è stato registrato nel concerto dei Krakow al USF Verftet di Bergen ed è composto da quattro lunghe tracce che permettono di apprezzare al meglio il lavoro di questa band norvegese. Quello che viene fuori è un risultato molto interessante, perché è suonato con una grande intensità e qualità e perché, cosa molto difficile, riesce a trasmettere tutto il pathos che si crea in un concerto dando l'illusione di essere presente. 


Alive

Sicuramente è il post metal dei Krakow a facilitare questo compito. Questo perché a livello di suono c'è già un'alta componente sia emotiva che ipnotica. Ci si ritrova catapultati in quel vortice sonoro che non lascia alcuna via di scampo, partecipi dunque da quel rito chiamato Alive. La cosa interessante dentro alla musica di questo quartetto norvegese è che, in contrasto con altre band regine di questo genere musicale, la loro musica ha un'altra struttura, un altro modo di snodarsi giocando sempre con le stesse carte, ma distribuite in modo diverso. E' come se la matteria che conforma le creazioni sonore del gruppo fosse diversa da quella usata in tanti altri progetti. E questo arriva in questo disco. C'è più che mai una connessione fortissima tra l'ascoltatore e la musica.

Alive

E' come se ci fosse una forte cosmologia interna che venisse proiettata su un ampio soffitto a volta di stella. Vediamo un universo, ma quell'universo sta dentro ad ognuno di noi. E nel caso di questo Alive  questa sensazione viene amplificata perché si tratta di un concerto. Si sente che i Krakow sentono. Sentono l'energia di un pubblico rapito, sentono la potenza del suono che loro stessi creano, sentono l'emotività amplificata, perché dall'altra parte c'è chi riceve e alimenta questo vincolo creando un feedback di emozioni

Sicuramente per via della loro durata le due tracce che ho selezionato sono quelle che acconsentono maggiormente lo sviluppo di questo vincolo. Sono i brani d'apertura e di chiusura di questo disco.
Il primo è Monolith ed è una graduale avventura che ci trasporta in questo affascinante viaggio. Rumori che si mescolano ad una linea malinconica di chitarra per poi esplodere con concretezza. E' una canzone strumentale, più vicina ad un'immaginario post rock con ritmiche sludge. E' il portale d'ingresso.
L'uscita invece viene rappresentata da Mound, ultima traccia di questo lavoro. Se il primo brano era pacato ed ipnotico questo riprende sempre l'aspetto quasi psichedelico del primo ma con un trattamento assolutamente diverso. E' la reiterazione tantrica di certi riff a fare da mezzo di trasporto. Ma c'è molto altro, questa canzone è una costante ondata d'urto intervallata a momenti di rilascio che c'illudono di ritrovare una qualche pace. Illusione che viene spezzata da cambi di dinamica bestiali dove la band da il meglio di se stessa.

Krakow

Dentro alla complessità di quello che significa un disco dal vivo questo Alive ne esce vittorioso. Perché è piacevole da ascoltare per via di una registrazione di alta qualità. Ma, soprattutto, perché incrementa notevolmente l'aspetto emotivo di queste canzoni. Si sente il sudore, l'energia, il trasporto di chi suona, e si sente che il pubblico si esalta di fronte a questa prestazione. Per quello ritengo che questo disco dei Krakow sia un perfetto esempio di quello che dovrebbe essere un lavoro registrato dal vivo.

Voto 8,5/10
Krakow - Alive
Dark Essence Records
Uscita 24.03.2017

Sito Ufficiale Krakow
Pagina Facebook Krakow

lunedì 20 marzo 2017

22 - You Are Creating:Limb1: ascoltare è creare

(Recensione di You Are Creating:Limb1 dei 22)


Senza ascoltatori la musica non esisterebbe. E' in quell'equilibrio precario che si cella la magia di quest'arte. E' nella capacità di parlare a milioni di persone ma dirigendosi individualmente ad ognuna che scatta la meraviglia dietro a un pezzo riuscito. Per quello la musica diventa così importante da fare parte fondamentale delle nostre vite, perché ci parla, ci urla, ci fa vedere quello noi stessi siamo.

You Are Creating:Limb1

Questi concetti sono molto chiari nella testa dei norvegesi 22. Tanto da basare le intere idee musicali di You Are Creating:Limb1 su quello che è la relazione artista-ascoltatore. Non solo quello, il discorso musicale diventa molto più complesso dentro all'intenzione della band. La tesi da loro sostenuta è che un brano è un lavoro collettivo tra band e ascoltatore, come se il processo creativo non si chiudesse fino a che chi ascolta non crea un ponte tra quello che sta ascoltando e se stesso. Tesi affascinante e reale. Alla fine i brani che ci hanno lasciato una traccia profonda sono quelli che ci permettono di inglobare un momento, un sentimento, una persona, un ricordo. E' in quel punto che quella specifica canzone abbandona la sua intenzione primordiale per essere assolutamente personale, per dare nascita ad una serie di elementi che variano di persona a persona. Per quello, secondo i 22, il processo creativo necessita del pubblico, e per quello questo disco gira intorno a quest'idea.

You Are Creating:Limb1

You Are Creating:Limb1 non è il primo esempio di arte variopinta nella musica dei 22, molto attenti ad andare oltre alla musica. Forse è per quello che il loro sound è molto ricco ed inqualificabile. Il punto di partenza è il rock, quello è indubbio, ma tutti gli elementi che ci sono dentro spaziano tra elementi di alternative rock, di elementi progressivi, di contaminazioni elettroniche, di melodie di forte impatto. Ci sono elementi che ricordano la musica dei grandi Mars Volta, altre sfumature, che vengono fuori grazie al solidissimo incastro di base ritmica, con un basso strepitoso, con chitarra e voce, che invece ci riportano ai primi, e molto onesti, lavori dei Muse. Brani che rimangono impressi, che sorprendono per gli sviluppi che regalano, che sono suonati molto bene lasciando in chiaro l'incastro perfetto della band. E' un rock anni 2000, ricco di aperture che lasciano spazio a contaminazioni sonore a più vie.

You Are Creating:Limb1

E' quest'originalità, sorprendente ed inattesa, quella che rafforza ulteriormente l'idea di un lavoro a due: band e ascoltatore, perché ognuno costruisce un proprio piano dimensionale nel quale alloggiare questi brani. E' voluta questa varietà, varietà di pensieri, d'innamoramenti, di modi di prendere e digerire le note di questo You Are Creating:Limb1. La missione dei 22 era quella di esaltare quella fondamentale relazione tra chi offre e chi riceve, e il risultato viene fuori magistralmente. 

22


Prendo tre esempi su tutti ma bisogna considerare che quest'intero lavoro merita un ascolto attento ed approfondito. 
Il primo è Inspec, brano d'apertura di questo disco. Una canzone che arriva dritta alla testa di chi ascolta con un'energia inarrestabile.La band si esalta regalandoci elementi che ricordano i buoni Mars Volta. E' un alba luminosa di un risveglio eccezionale in un giorno dove si sa, succederanno grandi cose.
Il secondo è Ectypes. Momento più introverso ed intimo di questo disco. Una canzone vellutata sorretta da un basso bellissimo sul quale voce e chitarra trovano spazio per abbellire. Perché l'arte si basa anche su quello, sulla bellezza. Brano da ascoltare in tranquillità con lo sguardo perso fuori dalla finestra. 
E per chiudere abbiamo You Are Creating, vero manifesto che racchiude l'idea e l'intenzione di questo disco. Attraverso le sue parole viene evidenziato che una canzone non diventa un "qualcosa" fino a che non riesce a stabilire un ponte con l'ascoltatore. Le canzoni hanno una moltitudine di vite, e dipendono da noi. 



Seguendo l'idea dietro a questo You Are Creating:Limb1 anche questa recensione è un atto creativo. Lo è perché quello che avete letto è quello che i 22 mi hanno regalato con le loro canzoni, quello che mi hanno suscitato, le idee che hanno fatto esplodere nella mia testa. L'arte è viva, è dinamica, cambia, ci regala momenti unici che non avranno mai paragone con null'altro. Target raggiunto perfettamente. 

Voto 8,5/10
22 - You Are Creating:Limb1
Indie Recordings
Uscita 24.03.2017

venerdì 17 marzo 2017

Allochiria - Throes: l'urlo oltre la grigia nebbia

(Recensione di Throes degli Allochiria)


Tra le molteplici utilità della musica una delle più ricorrenti ed utilizzate è quella della ribellione, dell'esternare tutto quello che non va bene. Per quello la musica è un metro di misura validissimo per capire cosa stiamo vivendo e cosa abbiamo vissuto, sia a livello globale che a livello locale.

In Grecia è molto fresco il sentimento di ribellione, l'urlo che ha voluto dire basta ad un sistema politico economico sbagliato che stava portando il paese al baratro. La musica degli Allochiria non si basa particolarmente su quello ma parla in linee più generali di quello che capita a livello globale nelle nostre società, sempre più viziate, corrotte da un consumismo selvaggio che porta a pensare semplicemente a quello che si deve far vedere e non a quello che si è veramente. E, in questo modo, si finisce per non conoscere veramente bene nessuno, forse neanche noi stessi. Per quello la musica presente in questo Throes, secondo disco della band ellenica, è un urlo viscerale. 

Throes

Musicalmente il discorso intrapreso dalla band trova un chiaro appoggio per via delle sonorità che regala il post sludge, ma la particolarità che differenza quello che fanno i Allochiria con altri gruppi di questo genere è la voce femminile. Grazie a ciò tutto diventa molto più viscerale, dissacrante, sentito. Dunque strumentalmente siamo in piena linea col lavoro svolto da capisaldi di questo universo musicale come i Cult of Luna, gli Isis o gli Amenra ma dal punto di vista vocale c'è questa particolarità che regala originalità a questo Throes. Brani, dunque, di lungo sviluppo che colorano un universo cupo, rarefatto dal quale non c'è via d'uscita, bellissima metafora musicale di quello che è il mondo quest'oggi. A tagliare quella nebbia spessa e quasi materica è la voce, che attraversa tutte le testure in cerca di luce. 

Throes è un urlo, come detto in precedenza. E' un urlo che esiste perché ormai si è arrivati troppo lontano, ci si è affondati così profondamente da pensare che quello che viviamo è la normalità, e di conseguenza va bene. La musica degli Allochiria ha quella capacità di scuotere per cercare un piccolo spiraglio che porti alla consapevolezza. Per quello è grigia, urbana e sentita. 

Allochiria

Come brani da segnalarvi scelgo la traccia d'apertura di questo disco, perché è assolutamente in linea con un lavoro che, anche se è ricco di sfumature, ha una linearità molto importante.
Il bano in questione è Thrust e sorprende per il suo sviluppo. Inizia lento, disegnando i confini dentro ai quali ci muoveremmo per poi dare una prima botta di energia che lascia in evidenza due aspetti essenziali: la chiarissima connotazione di post sludge della band, ricordando la strada dei Cult of Luna e degli Isis, e l'energia della voce. Sono sette minuti di sentimenti che s'intrecciano, molto spesso senza bisogno della parte cantata. 


La poetica della musica ancora una volta riesce ad arrivare lì dove tanti altri linguaggi si perdono. Quello che si sente in questo Throes è il riflesso di quello che sentono tante persone nel nostro mondo. Cioè un senso di apatia totale verso la "normalità", verso questa esagerata ostentazione di quello che non si è, e neanche di quello che si vorrebbe essere, ma, tristemente, di quello che il mondo t'impone di essere. L'urlo degli Allochiria è benvenuto.

Voto 8/10
Allochiria - Throes
Art of Propaganda
Uscita 17.03.2017