lunedì 30 gennaio 2017

NOÊTA - Beyond Life and Death: navigare oltre

(Recensione di Beyond Life and Death dei NOÊTA)


Nella musica, come nella vita, le strade che si possono intraprendere sono tante, e spesso si differenziano per la loro sostanza. Per come la vedo io, ci sono due vie principali: quella della semplicità e quella della complessità. Nessuna è migliore con rispetto all'altra ma devono rispondere alle intenzioni musicali che si celano dietro ad ogni progetto. Quella complessa è dovuta ad una certa ricerca che mette in luce la voglia di creare qualcosa d'unico ed articolato. Ci vuole molto lavoro, talento e qualità per inseguirla. Quella semplice, invece, potrebbe sembrare molto più banale ma non lo è. La chiave sta nel concentrare in pochi elementi il peso di un linguaggio ricchissimo come quello musicale. E' quasi più difficile fare qualcosa di semplice ed effettivo che fare qualcosa di complesso.

Il disco del quale mi occupo quest'oggi è un disco che cresce ad ogni ascolto; è un disco che cella nelle sue tracce un insieme ingannevole di semplicità e complessità. Sto parlando di Beyond Life and Death, disco debutto di un duetto svedese, chiamato NOÊTA, del quale sentiremo parlare spesso. 
La semplicità potrebbe essere rappresentata dal fatto che sono soltanto due musicisti a mettere in piedi questo progetto ma la complessità è dovuta alla quantità di sfumature che questo lavoro riesce a regalare. Si definiscono come una band di black ambient e, in questa particolare definizione, si cella gran parte dell'essenza di Beyond Life and Death. Questo perché, anche se i brani hanno un fortissimo protagonismo vocale, la strada sulla quale veniamo guidati da questo duetto è una strada di sensazioni ed emozioni. Di nostalgia, di ombre, di presenze spettrali, di solitudine, di silenzio interrotto da piccoli e precisi rumori della natura. Insomma, la musica dei NOÊTA, che rispondono ai nomi di Êlea ed Ândris, due polistrumentisti, sembra essere incanalata completamente nell'idea di generare degli stati mentali ed onirici che ci guidino verso un altro mondo.

Beyond Life and Death


Per riuscir a compiere il loro scopo entra in gioco la semplicità della quale parlavo in precedenza. Semplicità che si evidenzia nella voglia di costruire dei brani dove la voce femminile si diletta ad essere la guida di quest'affascinante viaggio. Per quello il suo protagonismo viene evidenziato da un missaggio che la mette molto in risalto regalandoci un registro bellissimo, molto onirico. Ma la semplicità si evidenzia anche nell'idea di dare il tocco strumentale giusto e preciso ad ogni brano, senza mai sovraccaricare il risultato finale, senza mai strafare al di là delle possibilità reali dei due musicisti. Per quello in questo disco è palese l'assenza di una sessione ritmica e per quello, tranne qualche piccola percussione, non si sente null'altro. Beyond Life and Death prende, dunque, una strada che sembra molto cantautoriale e che avvicina leggermente la musica dei NOÊTA a una certa tradizione folk scandinavo. Ma la fortuna è che questi accostamenti sono solo parziali perché il duetto ha molto chiaro cosa vuole creare e come crearlo. E' per quello che sonorità acustiche ed elettroniche si mescolano in una danza dove i due mondi si completano a perfezione.

Beyond Life and Death


La bellezza di questo disco è che è un album che, anche se si nutre di oscurità e nostalgia, rilassa l'ascoltatore. Lo porta a evadere dalla realtà, abbracciando il mondo disegnato con suoni dei NOÊTA. E' una barca che segue la corrente di un tranquillo fiume che attraversa delle fitte foreste al tramonto. Non c'è opposizione, non c'è voglia di remare controcorrente. Rimane soltanto la curiosità di sapere quanto finirà il viaggio e dove arriveremo. Ecco, il fiume, per tante culture, rappresenta il collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Questo viaggio è proprio lì, tra questi due mondi ma, anche, come indica il titolo del disco, oltre questi due mondi: Beyond Life and Death.

NOÊTA


L'ascolto di In Drowning ce lo spiega con chiarezza. Non è affogare è basta, è affogare sapendo che si sta per attraversare un portale. Per quello voce e chitarra vengono interrotti da rumori elettronici. L'aspettativa e la normalità lasciano spazio a qualcos'altro.
In Void, invece, ci dimostra con chiarezza come si comporta il contrasto tra l'acustico e l'elettrico dentro alla musica del duetto. Una chitarra arpeggiata fa adagiare la voce mentre una serie di "rumori" appaiono e scompaiono costruendo un nuovo scenario irreale. 



Perché sentiremo parlare spesso dei NOÊTA? Perché hanno le idee molto chiare. Perché la loro genialità sta nel non fermarsi a quello che potrebbe essere l'ennesimo lavoro di folk nordico ma, partendo dagli stessi presupposti, intraprendono una strada forse meno facile ma molto più appagante. Beyond Life and Death è uno di quei dischi pieni di bellezza, di quella che ci piace, quella che non è per nulla scontata.

Voto 8,5/10
NOÊTA - Beyond Life and Death
Prophecy Productions
Uscita 17.02.2017

domenica 29 gennaio 2017

Klone - Unplugged: cambiare per incantare

(Recensione di Unplugged dei Klone)


Quando, negli anni 90, MTV era veramente un faro dentro al mondo musicale e svariati generi trovavano vita senza dover rendere conto a criteri commerciali, l'ascesa del formatto unplugged diede una nuova dimensione a tanti brani. L'acustico obbligava a togliere l'aspetto più maestoso delle creazioni musicali di tanti gruppi e queste nuove versioni sapevano d'intimità e di essenzialità, oltre ad essere delle vere e proprie sfide dove si poteva apprezzare la dinamicità dei musicisti. E' stata una moda fortissima e trascinante e, a un certo punto, equivaleva a cavalcare l'onda. Solo i migliori facevano dei concerti unplugged.

La motivazione musicale che ha spinto i francesi Klone a misurarsi con questa formula è molto diversa da quelle originali. Qua non c'è stata la richiesta di un noto network e questo loro lavoro non è andato in onda su alcun canale. All'origine di questo Unplugged c'è il fascino provato misurandosi con questa tipologia d'interpretazione. Eh sì, perché questa band francese ha dovuto adattare il proprio repertorio a queste sonorità acustiche per avere, così, la possibilità d'aprire una serie di concerti dell'olandese Anneke Van Giersbergen. Il risultato ha talmente affascinato la band che la decisione d'incidere questo disco è stata la scelta più naturale.

Unplugged


Unplugged è una sfida perché i Klone sono un gruppo che affonda le proprie radici in un'interpretazione moderna del rock progressivo, genere che necessità di suoni "elettrici" come la terra necessità dell'acqua per far crescere la vita. Qua si racchiude la chiave di questo lavoro, perché, senza voler togliere alcun merito ad altri dischi acustici che hanno fatto la storia, è molto più difficile arrangiare dei brani progressivi che fare la stessa cosa con canzoni di altri generi più spogli e "poveri" strumentalmente parlando. Anzi, tanti dischi acustici non presentano grandi variazioni per quanto riguarda la parte degli arrangiamenti, sembrano delle versioni "da spiaggia" dei brani originali. Nel caso dei Klone il lavoro si è svolto in tutt'altro modo. Senza modificare la struttura dei brani hanno dovuto cercare un modo di regalare la stessa dinamicità che le versioni originali avevano. A questo punto entrano in gioco delle scelte obbligate. Perché molte cose possono rimanere invariate, per esempio una progressione d'accordi, una melodia vocale, una linea di basso, ma altre vanno riviste. E' in questo lavoro di "pulizia" che risiede la grazia di questo Unplugged e la giustificazione d'aver intrapreso quest'avventura. I brani di questo disco non sono mondi lontani da quello che si poteva ascoltare nelle canzoni originali ma c'è un tocco diverso, delle sfumature velate che differiscono dalle versioni primordiali. E' questa la nuova vita di queste canzoni e la sfida da portar a compimento, e nel caso dei Klone è una sfida vinta. Questo Unplugged è coerente e corretto. Regala un piacevole ascolto. 

Ci sono due vie che si possono percorrere quando bisogna "adattare" dei brani propri a delle versioni acustiche. O si prende tutto così com'è, si cerca lo strumento acustico equivalente, e si suona, o si lavora su una nuova vita per queste creazioni. Una nuova vita che tenga conto delle possibilità interpretative e giochi proprio su quelle. Per fortuna la scelta dei Klone in questo Unplugged è la seconda.

Klone


E siamo alla selezione dei brani più interessanti di questo lavoro. Ma prima di sottoporvi le mie scelte vi segnalo che in questo lavoro è inclusa una cover di People are People dei Depeche Mode, cover che regala essenzialità ed intimità ad un brano che faceva parte di un altro mondo sonoro.
La mia prima scelta è Immersion, canzone che apre il disco e che ho selezionato perché è un perfetto compendio di quello che possiamo trovare in questo lavoro. Da gli oltre cinque minuti di durata della versione elettrica originale in questo lavoro troviamo una versione di tre minuti ed undici secondi. Dunque la filosofia che c'è dietro a questo disco è quello di selezionare accuratamente tutto quello che può rendere eliminando il superfluo o i dettagli che non hanno lo stesso impetto, e resa, nelle versioni acustiche. Esce un brano emotivo, diretto e molto bello.
La seconda scelta va a Gone Up in Flames, scelta che ricade sulla bella capacità melodica di questa canzone, regalandoci un brano che s'insinua senza alcuna difficoltà nella testa dell'ascoltatore.
Per finire ho selezionato Nebulous, brano che permette di capire che i Klone sono un gruppo di rock progressivo e che la sfida di misurarsi con l'acustico non li spaventa affatto. 



Tirando le somme bisogna dire ce questo Unplugged ha le stesse caratteristiche naturali di questa tipologia di versioni, vale a dire dei brani che diventano più "brillanti" e meno "complessi" ma la grazia fondamentale è che per arrivare a questo risultato la band ha fatto un vero e proprio lavoro di arrangiamento, compiendo delle scelte che hanno avvicinato i brani selezionati alla resa ottimale di un repertorio acustico. Un esperimento pienamente riuscito.

Voto 8/10
Klone - Unplugged 
Pelagic Records
Uscita 17.02.2017

mercoledì 25 gennaio 2017

Gloson - Grimen: tutte le carte in ordine per essere protagonisti

(Recensione di Grimen dei Gloson)


Ho sempre pensato alla musica come qualcosa d'avvolgente. Una materia che s'insinua nell'aria fino a dominarla per completo prendendo il pieno protagonismo. Ci sono gruppi che insistono molto su questa linea e basano la propria musica nell'incrementare questa sensazione. Sono capaci di ricreare dei paesaggi sonori molto definiti dei quali non possiamo scappare. 

Una prerogativa del post metal è proprio quella, cioè la capacità di costruire delle fitte trame sonore, che si basano sulla nebbia e l'oscurità, sulla desolazione dell'anima ed il confronto con noi stessi. Fedelissima a questa linea sono gli svedesi Gloson che vi presento grazie al loro primo LP Grimen. La formula è quella che ha reso celebri dei gruppi come i Cult of Luna o gli Isis. Lunghi brani che si basano spesso e volentieri in loop coinvolgenti che disegnano il quadro dove esporre le proprie sensazioni interne. Un viaggio dentro di ognuno di noi.
Penso di non esagerare affatto se vi dico che dei Gloson ne sentiremmo parlare spesso, perché la qualità, per essere riconosciuti come protagonisti di questo genere, è significativa. Non è un caso che a masterizzare questa loro opera prima sia stato Magnus Lindberg dei prima nominati Cult of Luna.
Grimen è un disco concreto, di grande compattezza sonora che riesce, lo stesso, a dare dei nuovi spunti a questo genere musicale. Anzi, un suo grande pregio è che regala dei momenti diversificati, cosa che spesso manca in tanti altri lavori di questo filone musicale.

Grimen

La chiave di lettura di questo disco gira quindi intorno al post metal ma non è l'unica presenza musicale apprezzabile in Grimen. Ci sono anche delle incursioni nel mondo dello sludge metal e certe reminiscenze di doom. La voce principale, è una voce growl ma certi momenti sono stati riservati a qualche intervento pulito o all'utilizzo di cori, mai invasivi ne troppo grandiloquenti. Tutto quanto viene aggiunto alla base musicale prima definita, una base musicale dove ritmo e suono si fanno una coesione che permette di avere uno sound molto oscuro, denso di ombre. 
Come dicevo prima la forza di questo disco sta sicuramente negli spunti che regalo una grande spazialità. E' lì che entrano in gioco lo sludge e il doom, distogliendo questo lavoro da quello che potrebbe sembrare il binario unico predefinito. In quei momenti i Gloson vanno al di là delle prime loro influenze per abbracciare lo sconfinato mondo di gruppi come i Neurosis. Tutto fatto con grande coerenza, senza mai forzare una scelta.

Grimen

E' sempre molto particolare il percorso che porta una band a diventare protagonista di una certa scena. Ci sono molto fattori che entrano in gioco, come l'essere al posto giusto nel momento giusto ma c'è qualcosa d'obbligatorio, e questo è essere all'altezza qualitativa di offrire un buon lavoro. Con Grimen i Gloson lo sono assolutamente. C'è una grande piacevolezza nel perdersi tra le note che compongono questo disco perché, come in molti altri casi, significa perdersi dentro a noi stessi, a quel che siamo, alle nostre ombre e alla luce che cerca di farsi strada. 

Gloson

Come consiglio ho scelto due brani ce permettono di vedere la parte più "ampia" del discorso musicale della band svedese.
Il primo è Antlers, dove il post metal lascia spazio allo sludge dando nascita ad un brano perfettamente in linea con quello che potrebbe fare una band come Neurosis.
La seconda segnalazione aspetta a Specter, il brano più corto dell'intero album. Non si differenza soltanto per la durata ma anche per le sonorità acustica e l'utilizzo della voce pulita. E' difficile dare una definizione esaustiva di questa canzone ma il suo sviluppo dimostra una grandissima dinamica che si traduce in grande emotività.



Ci tengo a ricordare che Grimen è la vera e propria prima carta di presentazione dei Gloson alla società, anche se bisogna segnalare l'esistenza di un primo EP prima auto-prodotto e successivamente distribuito a scala mondiale. E' per quello che questo disco sorprende e stabilisce tutti i presupposti per sentire parlare della band e della sua musica. Questo è un disco imperdibile per tutti quelli che respirano post metal. Non ve lo fate sfuggire.

Voto 9/10
Gloson - Grimen
Art of Propaganda
Uscita 13.02.2017

lunedì 23 gennaio 2017

NIDINGR - The High Heat Licks Against Heaven: la logica sovrumana

(Recensione di The High Heat Licks Against Heaven di NIDINGR)


Lo confesso, la cosa che più m'interessa nella musica è l'originalità. Quando arriva alle mie orecchie qualcosa che mescola diversi elementi, dando nascita a qualcosa di assolutamente nuovo allora capisco che c'è un feeling tra quella musica ed il mio interesse. Non è facile trovare quell'originalità perché veramente sono state fatte tantissime cose ma riuscir a riconoscerlo è un dono. Lo so che in passato ho già parlato di questo, ma il disco che sto per raccontarvi mi ha fatto venire, ancora una volta, queste riflessioni alla mente.

The High Heat Licks Against Heaven


I norvegesi NIDINGR esistono da parecchi anni ma la loro carriera è stata sempre discontinua e, generalmente, sono passati diversi anni tra un disco e quello successivo. In un quarto di secolo di carriera hanno dato nascita a solo quattro album e quello che vi racconto quest'oggi ha visto la luce dopo ben cinque anni dal loro lavoro precedente. Ed è un peccato perché il risultato che prende il nome di The High Heat Licks Against Heaven è un disco veramente interessante. Lo è per la sua apertura, per il fatto che, anche se si tratta di un'opera apertamente black e death metal non disdegna alcun tipo di contaminazione andando a confinare con quello che è stato definito come l'avantgarde metal. Ma come al solito fare un analisi approfondito è limitante, perché non rende giustizia di quello che arriva attraverso le nove tracce che compongono questo lavoro. Anzi, è sorprende anche sapere che la parte dei testi si basa, ancora una volta, nei racconti della mitologia norrena, utilizzando delle adattamenti dell'Edda, libri storici che hanno permesso di conoscere la mitologia scandinava. Sorprende perché quell'aria mistica ed epica non è la prima che arriva all'ascoltatore. Musicalmente sembra che il discorso dei NIDINGR sia molto più moderno ed attuale, a tratti anche esistenziale. Ed invece no, quello che arriva alle nostre orecchie è una nuova vita di questi testi così importanti per tutta una cultura.

The High Heat Licks Against Heaven


Come detto in precedenza la traccia più marcata nella musica di questo The High Heat Licks Against Heaven è un mix di death e black metal, molto apprezzabile nelle atmosfere sonore che si creano e nella potenza dei riff di chitarra, assolutamente oscuri e ricchi di tensione. Ma c'è molto di più. Anzi tutto l'utilizzo della voce è molto ben accetto perché scandisce perfettamente le parole senza però rinunciare alla potenza ricercata. Non è l'unico elemento che arricchisce questo lavoro. L'altro, e forse più importante, è l'utilizzo di caratteristiche che si allontanano completamente del mondo musicale appena descritto. Contaminazioni sonore, molto misurate, che danno grande originalità alla band. 
Non c'è una regola fissa per fare ricorso a questa tipologia di suoni che vengono fuori quando i NIDINGR stimano che sia il caso di utilizzarli. Per quello gli possiamo trovare in mezzo a delle canzoni che sembrano andare in tutta un'altra direzione o monopolizzando intere tracce, incuranti di una presunta inadeguatezza. Tutto è logico, come lo dimostra quel brano assolutamente noir che è Gleipnir, o la bellezza della voce lirica femminile che convive in Naglfar is Loosed.

The High Heat Licks Against Heaven


La logica non è mai uguale per tutto. Ogni mente ha la sua, di logica. Ogni creatura corrisponde a certe idee. Quella che c'è dietro a questo The High Heat Licks Against Heaven è quella di un racconto mitologico. Come spesso capita quel genere di testi sono pieni di una violenza che oggi sembra inaudita, e che forse non ci arriva pienamente perché è in mezzo alla poesia o alla prosa. La forza dei NIDINGR è quella di prendere il cuore del racconto e tradurlo sia in parole che in musica. E' un gioco di prospettive bellissimo. Non sono dei cantastorie, neanche dei protagonisti. Sono l'azione, la pazzia violenta, il conflitto, l'oscurità, la desolazione che c'è dopo. Viene fuori la crudeltà mitologica di quei essere sovrumani che sembrano essere nati per farsi la guerra usando le più contorte idee che si traducono in sofferenza. 

NIDINGR


Vi voglio lasciare con tre brani che mi sono particolarmente piaciuti. Tutti e tre sono più distanti dalla "purezza" black o death metal che, invece, si apprezza in tante altre tracce. 
Il primo è il già nominato Gleipnir. Atmosfere cupe che non necessitano di distorsioni prorrompenti. Sembra quasi un brano jazz che esplode per poi tornare nella stessa direzione. 
Vi segnalo poi, Ash Yggdrasil. Forse il brano che più si avvicina a quell'idea di avantgarde metal che ricorda il lavoro di un'altra grandissima band norvegesi, gli stinti Ved Buens Ende. Arpeggi dissonanti di chitarra sui quali si costruisce un atmosfera malata dove la voce può sussurrare quello che deve raccontare.
 Per finire rinomino un'altra canzone, si tratta di Naglfar is Loosed. Forse è l'unico momento del disco dove si abbraccia una dimensione un po' più epica e si lascia uno spiraglio che fa entrare la bellezza. Per quello è l'unico brano che vede la presenza di una voce femminile, quella della danese Myrkur. E' in questo gioco di contrasti che si crea il paradosso della vita, dell'infinità crudeltà della bellezza.



The High Heat Licks Against Heaven è un disco che appartiene a quella categoria di lavori da ascoltare, per forza, per interi. Lo è perché non ha una linearità, perché ogni brano sorprende, e quando ci illude di aver capito perfettamente com'è fatto ci regala qualcosa che ci destabilizza. E' un punto di vista complesso, interessante e nuovo con rispetto ad una fonte d'ispirazione che ha dato nascita a tanti lavori, ma nessuno come quello dei NIDINGR.

Voto 8,5/10
NIDINGR - The High Heat Licks Against Heaven 
Indie Recordings
Uscita 10.02.2017

sabato 21 gennaio 2017

Fight the Fight - Fight the Fight: un inizio che è una promessa

(Recensione di Fight the Fight dei Fight the Fight)


Anche a costo di star dicendo un luogo comune l'amicizia è un tesoro unico. Molto spesso gli amici che ci rimangono per sempre vicini sono quelli dall'epoca scolastica. Forse perché ci hanno visto crescere e anche noi l'abbiamo fatto. Con loro diventa tutto molto più semplice, non servono filtri o spiegazioni. E lì l'essenza dell'amicizia, quella che va celebrata.

Indie Recordings


I Fight the Fight sono amici da una vita, e condividono, in primo luogo, la loro passione per la musica. Per quello, anche se andrò a parlarvi di un disco di debutto, ce n'è d'acqua che ne è passato sotto il loro ponte e questa prima loro fatica discografica suona massiccia, ben studiata e molto concreta. Si sente anche la loro gioventù, la loro voglia di buttare dell'energia senza mettere limiti, di essere spregiudicati. Fight the Fight è un disco che si comporta come un costante bombardamento che non si attenua. Non solo, dentro a questo lavoro s'intravede con chiarezza qual è la musica che riempe le orecchie di questi cinque musicisti norvegesi. C'è un ponte, molto definito, che collega la Norvegia, e tutto l'immaginario musicale nordico, con quel metal statunitense che gioca, senza problemi, a spaziare tra nu metal, post hardcore ed altre sfumature moderne di questo genere. Infatti chiama l'attenzione che questa band non sia svedese, perché in passato ci sono stati tanti esempi di queste contaminazioni sonore.

Indie Recordings


E dunque il linguaggio musicale messo in scena da questi ragazzi è molto moderno, è l'eredità di band come In Flames, che in passato hanno trovato, anche nel loro caso, questi collegamenti tra due mondi che, primordialmente, potevano sembrare molto distanti. Infatti la musica che troviamo dentro a quest'opera prima ricorda sia lo spirito delle band che hanno creato il death metal melodico che quello di altri gruppi che hanno dato vita a quello che, comunemente, viene definito alternative metal. E' per questo che in questo Fight the Fight convivono diverse anime, alcune forte, ostiche e volutamente aggressive, ed altre molto più morbide, molto melodiche e piacevoli.

Indie Recordings


Fight the Fight è un disco molto ben pensato. Potrebbe sembrare molto in linea con tanti altri lavori che spaziano tra questi versanti moderni del metal ma ha un grandissimo pregio. E' un disco ragionato, misurato, mai eccessivo e variopinto nello stesso tempo. Se pensiamo che si tratta di un disco di debutto tutte queste osservazioni diventano ancora più interessanti. Sorprende dunque la naturalità con la quale la band raccoglie l'eredità lasciata da gruppi come In Flames o Gardenian, dando l'impressione di essere un progetto navigato.

Indie Recordings


Due brani da segnalarvi per darvi l'idea di quello che è questo lavoro, ognuno per ogni "anima della band".
Il primo è l'omonimo Fight the Fight. Brano esplosivo che sorprende per i suoi costanti cambi ed i suoi passaggi da parti più ostiche a quelle più melodiche. Voce growl e voci pulite si susseguono in una folle gara.
La seconda canzone è The Other Side. Forse è il brano che permette di sentire con più chiarezza la parte "americana" della band. La voce è interamente pulita ed utilizza spesso e volentieri l'appoggio di cori. Le chitarre sono molto più misurate e non utilizzano distorsioni pesanti. 



Quando si ha la fortuna di conoscersi profondamente tutto esce meglio ed a livello musicale il risultato diventa una creatura con una personalità ben definita. E' quello che succede con i Fight the Fight e questo loro primo disco. Si nota una grande coesione che si traduce in un disco che trasuda onestà musicale e coerenza. Il futuro della band non può essere che luminoso. 

Voto 8/10
Fight the Fight - Fight the Fight
Indie Recordings
Uscita 27.01.2017

giovedì 19 gennaio 2017

Soen - Lykaia: il rito di passaggio

(Recensione di Lykaia dei Soen)

Soen

Ancora oggi molte culture concepiscono dei veri e propri riti d'iniziazione, che sanciscono il passaggio dall'infanzia all'età adulta. Riti dove il futuro adulto deve dimostrare di avere le caratteristiche necessarie per vivere questa nuova tappa della vita. Storicamente questi riti sono carichi di significato ed invitano a lasciarsi dietro una parte fondamentale di quello che si è vissuto per mettersi sulle spalle un nuovo fardello pesante che bisogna imparare a portare. Sebbene questi riti siano molto spesso riconducibili a culture che si tengono strette le tradizioni credo che in modo più o meno conscio ognuno di noi viva questo rito ed a un certo punto percepisca che il passaggio è avvenuto, che siamo adulti, che è l'ora di vivere e non più di giocare. 

Soen


Soen sono riusciti sin dall'inizio a suscitare una grande attrazione verso la loro musica. In parte perché nella loro formazione ci sono due musicisti molto celebrati, Martín López, ex batterista degli Opeth e degli Amon Amarth, e Joel Ekelöf, ex cantante dei Willowtree, ma, soprattutto, perché la loro sonorità è stata sin da subito ricca ed unica, un connubio che ricordava i Tool ma con l'intenzione musicale dei primi Opeth. Lunghi brani che esaltavano le doti strumentali di tutti i musicisti della band, guidati da una voce carica di personalità, grazie ad un timbro unico e piacevolissimo. Cognitive e Tellurian, primi due dischi del gruppo svedese, sono state dei lavori bellissimi che hanno stabilito le basi che consentivano di definire la musica dei Soen. Per quello la curiosità e le aspettative di fronte ad un nuovo lavoro erano molto importanti.

Soen

La risposta a quest'attesa si chiama Lykaia e lo scopo dei Soen era quello di mandare un messaggio forte e chiaro: la creatura ormai si è sviluppata e adesso è diventata quello che si era proposta di essere.
Grande ambizione e, dunque, grande rischio. Ma quando prendi dei musicisti navigati, che non sono assolutamente alle prime armi, si sa che il rischio è misurato e che l'ambizione è un riflesso delle emozioni. Infatti sono pronto a scommettere che durante il processo creativo di questo nuovo disco sia stata la band, in prima persona, ad aver capito che il rito di passaggio era stato compiuto e che c'era un salto da fare assolutamente. Quel salto è quello che deve portare i Soen a non essere "la band del ex batterista degli Opeth" ma ad essere un gruppo riconosciuto, ammirato e presente nel maggior modo possibile. 

Soen

Ecco, Lykaia è un rito di passaggio. E' un disco che sa di sicurezza, di forza, di fiducia. E' più asciutto dei due lavori scorsi, a tratti è più "facile", diventando così più "universale", ma è sempre, e ancora con più forza, un disco targato Soen. Strumentalmente continua ad essere un lavoro prevalentemente metal progressive e la voce di Ekelöf regala infinite sfumature che rappresentano una continuità con quello che si era sentito nei due dischi anteriori. Ma c'è altro, Lykaia è più immediato, s'insinua nella testa dell'ascoltatore essendo meno ostico dei lavori anteriori, e con ostico intendo complesso, riuscendo ad annidarsi molto più velocemente.
A questo punto, una lettura che potrebbe venire facilmente in mente, è quella di pensare che questo sia un disco commerciale. Niente di più sbagliato. Tutti gli elementi presenti nel passato dei Soen sono ancora qui, ma quello che è cambiato è il modo di metterli in gioco. Prima i brani potevano, qualche volta, sembrare un po' forzati, un po' abbondanti, invece Lykaia è molto più naturale. Non è più un disco di crescita, non è più una promessa. E' una certezza. Una certezza che si basa soprattutto nella consapevolezza di quello che deve essere il faro dentro alla costruzione dei brani. Questo disco, infatti, presenta un ventaglio di sfumature, di momenti diversi che s'intingono di quello che viene cantato, delle emozioni che attraversano una voce, un messaggio, un sentimento.

Soen

Il problema con i riti di passaggio è che, agli occhi degli altri, chi ne prende parte deve dimostrare di riuscir ad essere diventato quello che proprio gli altri vogliono. La bellezza di Lykaia è che i Soen sono diventati quello che loro volevano. Sono stati loro stessi a stabilire il rito, a dettarne le regole e a diventare la creatura che volevano essere, o che, spontaneamente, si è insinuata. Una creatura unica, che potrà avere similitudine con altre ma che non sarà mai al cento per cento come qualcun'altra. Ed eccola lì, davanti a noi, pronta a farsi accogliere.

Soen

Vi segnalo tre brani che sicuramente riflettono al meglio quello che i Soen sono riusciti a fare con questo disco.
Il primo è Sectarian, brano che ad un primo sguardo potrebbe riportarci ai dischi anteriori della band, grazie alle ritmiche progressive e molto trascinanti, a ritornelli di grande importanza, a parti che si susseguono con frenesia, ma andando oltre si capisce che tutto ciò è molto più misurato. E' l'essenza della band.
Secondo brano da me scelto: Orison. Anche qua è ultra riconoscibile l'impronta del gruppo. Si sente, si vive, si esalta ma diventa più diretta, più melodica, più aperta a tutti.
Mi sono lasciato per la fine quello che, secondo me, è il punto più alto di questo lavoro. Sto parlando di Paragon, brano che inizia con una misura ternaria che potrebbe dare l'impressione di essere una ballata per poi trasformarsi e diventare grintoso e struggente. Carico di emotività, di momenti sussurrati ed altri cantati a pieni polmoni. Toccante e molto ben riuscito. 



C'è del rock/metal progressivo alla Dream Theater, ce n'è quello alla Tool e così via. Con Lykaia non sarà strano sentire dire che c'è del rock/metal progressivo alle Soen, dove i tecnicismi non sono una priorità ma l'emozione delle parole fa da padrone. Personalmente questa è la musica che mi segna e che mi regala dei momenti unici. Adesso spengo la luce ed alzo il volume, sono pronto a viaggiare.

Voto 9/10
Soen - Lykaia
UDR Music
Uscita 03.02.2017

lunedì 16 gennaio 2017

Pain of Salvation - In the Passing Light of Day: rinascere per insegnare

(Recensione di In the Passing Light of Day dei Pain of Salvation)


La rinascita non è per tutti. La rinascita non è unica. C'è chi vive tante piccole morti nella vita ma riesce a rialzarsi. C'è invece chi si lascia andare allo spegnimento totale della propria vita. In certe culture è proprio voluto questo "cambiare pelle" e molti riti tradizionale mettono in scena l'avviarsi di una nuova vita. La cosa interessante è la potenza di un'idea come questa. Riuscir a riscrivere la propria vita spazzando via tutto quello che è successo prima. Quante opportunità del genere capitano? 

Per chi non conoscesse il soggetto, la vita di Daniel Gildenlöw, leader dei Pain of Salvation, è stata segnata da una bruttissima malattia, la fascite necrotizzante, contratta nel 2014 e che ha rischiato di portarselo via. Dopo mesi di cure e di qualche intervento chirurgico, le sue condizioni di salute tornano alla normalità consentendoli di riprendere in mano la band. 
Dopo di quest'episodio così drastico sono successe un bel po' di cose. Alla fine del 2014 viene pubblicato Falling Home, album acustico che include delle versioni acustiche di vecchi lavori, qualche cover abbastanza famosa ed un paio di inediti, e l'anno scorso vede la luce una nuova versione del grandissimo disco Remedy Lane, che si divide in due dischi, il primo re-masterizzato ed il secondo con l'album integro suonato dal vivo. La mia recensione di questo lavoro la trovate qui.
Ma il lavoro che era veramente dovuto e che incuriosiva tutti quanti è il disco del quale vi parlo quest'oggi: In the Passing Light of Day.

In the Passing Light of Day


Perché mai questo lavoro dovrebbe avere un peso maggiore di tanti altri album della band? Perché è il disco che racconta la rinascita di Gildenlöw. Una rinascita che mi azzardo a definire sia fisica che psicologica. Infatti sarebbe interessante sapere quale direzione avrebbe intrapreso la band se non fosse per quell'avvenimento così forte. Se questa direzione avesse cavalcato l'onda generata dagli ultimi dischi di studio, Road Salt One e Road Salt Two, allora era molto verosimile pensare che le sonorità hard rock di scuola americana avrebbero continuato a prendersi il protagonismo.
E qua scatta la magia e l'aspetto psicologico di questa rinascita. In the Passing Light of Day è un lavoro grandioso che pesca i suoi elementi musicali in tutta la carriera dei Pain of Salvation. Non è un ritorno al passato e neanche un continuum di quello che stavano facendo. E' una rinascita che ha il peso dell'esperienza di vita vissuta fino ad adesso. Ci sono impronte di tutti i dischi di questo quarto di secolo di storia della band ma la forza è che vengono messe insieme non come un banale e triste collage ma bensì come un disco di una forza emotiva e di una coerenza incredibile.
A questo punto viene fuori solo una spiegazione: rinascere significa vedere tutto con chiarezza, significa capire cosa si deve salvare, cosa si deve esaltare e cosa si deve cancellare.

Musicalmente c'è il riflesso di tutto quello che ho enunciato. C'è il ritorno a quella caratteristica che ha reso celebre la band, cioè quel metal progressivo che ha regalato qualcosa che mancava a tutti i gruppi che fino a quel momento si districavano in quel genere, vale a dire una carica emotiva, molto spesso nostalgica, che attraversava l'aspetto tecnico per regale quello che deve regalare la musica: emozioni. Ma In the Passing Light of Day ha anche una parte acustica e hard rock che si traduce nella costruzione di brani che rimangono impressi nella testa dell'ascoltatore senza volerla assolutamente abbandonare. E' un disco pieno di melodie che potrebbero essere anche considerate pop ma nella migliore accezione che si può dare ad un genere dove convivono dei geni ed una montagna di spazzatura nel triste rapporto 1 a 10. Ebbene, le melodie di questo nuovo disco appartengono a quel dieci per cento prezioso ed essenziale. Solo le melodia, perché null'altro è pop.

In the Passing Light of Day


Come si canta una rinascita? Con gioia, con dolore? Io non lo so ma so come è stata cantata dai Pain of Salvation. Con filosofia, immensa filosofia che ci porta ad apprezzare la vita, ad afferrarla con forza, a capire che bisogna lasciare da parte la superficialità e bisogna incanalare le energie in quello che veramente conta, essere felici al massimo, senza compromessi. In the Passing Light of Day è un disco autobiografico che non si limita ad essere uno sfogo o una esorcizzazione. Questo è un lavoro che insegna, che lascia una traccia in chi lo comprende fino in fondo. E' un viaggio emozionante, toccante e brillante. Per quello bisogna dire grazie.

Pain of Salvation


Non voglio scegliere qualche brano da consigliarvi su gli altri ma vi sottopongo qualche osservazione di certi aspetti che risaltano in questo lavoro.
La scelta dei brani di apertura e chiusura è tutto tranne che casuale. On a Tuesday è l'introduzione perfetta, è la definizione dello scenario che ci toccherà vivere nell'ascolto del disco. The Passing Light of Day è invece l'insegnamento, quello che deve rimanere nella mente di ognuno dopo quest'ascolto. Entrambi sono i brani più lunghi dell'album e hanno una ciclicità perfetta perché aprono e chiudono il cerchio dentro al quale veniamo catapultati.
Ci sono brani intrinsechi d'intimità, come Silent Gold, Angels of Broken Things, If it is the End o la stessa The Passing Light of Day. Sono dialoghi profondi tra un uomo e se stesso.
Invece altri sono dei brani arrabbiati, dei urli esorcizzanti. In questa linea troviamo Tongue of God o The Taming of a Beast.
Gli altri hanno una capacità encomiabile di trasformare in canzoni universali dei racconti non semplici. Includo in questa linea Meaningless, Full Throttle Tribe, che gioca con i suoni di un ospedale, e Reasons.
Ultima considerazione. La citazione di Ending Theme che ritroviamo in The Passing Light of Day è tutt'altro che casuale. Ancora una volta il cerchio si chiude e ci dimostra che il tempo è relativo, che la vicinanza delle vicissitudini se ne frega dei calendari. Remedy Lane e In the Passing Light of Day hanno molto in comune.



Per chi, come me, ha la fortuna di ascoltare quasi quotidianamente dei dischi nuovi non è sempre semplice essere accattivati da qualcosa d'inedito. In the Passing Light of Day l'ha fatto. E' un disco che ti cattura subito ma che regala nuove emozioni ad ogni ascolto. E la sua forza è che, anche se non si conosce la storia dietro alla sua scrittura, riesce a comunicare perfettamente il suo messaggio. Vi giuro, la vita è più bella e va compresa meglio dopo il suo ascolto.

Voto 9,5/10
Pain of Salvation - In the Passing Light of Day
InsideOut
Uscita 13.01.2017

venerdì 13 gennaio 2017

Kjeld/Wederganger - Split: patriottismo globale

(Recensione di Split di Kjeld/Wederganger)


Personalmente non sono mai stato troppo amico del patriottismo. Sicuramente perché sono un figlio del multiculturalismo non ho mai sentito un legame profondissimo con qualche nazione. Ma, d'altra parte, credo che sia importante valorizzare la propria cultura e storia e non perdere un bagaglio storico che è essenziale nella costruzione del presente di ogni società. Senza mai cadere, però, nel razzismo o l'intolleranza. 

Per la prima volta, da quando ho aperto questo blog, mi ritrovo a parlare di uno Split. L'onore ricade su due band olandesi, Kjeld e Wederganger. La scelta di pubblicare questo lavoro d'insieme ha grande senso, perché musicalmente entrambi gruppi hanno molti punti in comune. Il primo di questi, e che sicuramente giustifica quest'unione, è quello dell'amore non per la patria ma per la loro regione di provenienza. Al punto che i Kjeld cantano in frisone e hanno come tematica le vicende storiche di questa porzione di terra. Il collegamento tra questo sentimento di appartenenza e la musica presentata da entrambi i gruppi in questo Split funziona molto bene e si nutre dell'aspetto più epico e violento. Senza capire bene la lingua frisone o l'olandese utilizzato dai Wederganger è facilmente intuibile che le tematiche presenti in questo lavoro hanno a che fare con la guerra ed i conflitti territoriali che erano protagonisti per secoli e secoli nel vecchio continente.

Kjeld/Wederganger


Entrambe le band partono da una propria interpretazione del black metal, che nel caso dei Wederganger viene chiamato gueldrian undeath metal. Già questa definizione ci riporta a capire l'importanza che ha avuto la loro provenienza geografica nella composizione dei pezzi che fanno parte del repertorio di tutte e due le band. Il loro black metal non è assolutamente estremo ma marcia sicuro ed indisturbato a ritmo di guerra. Pertanto è un genere diretto, spregiudicato e molto, molto sicuro. La sicurezza che si traduce nel scegliere delle vie semplici ma di grandissima effettività. Per quello questo disco troverà il consenso di chi ama il metal diretto che non strizza l'occhio ad alcun tipo di sperimentazione o ad altre aperture musicali, tranne in qualche limitato caso, dove quest'apertura aiuta a capire ancora meglio l'intenzione musicale della band. L'unica differenza significativa tra quello che viene fatto dai Kjeld e dai Wederganger sta nel fatto che quest'ultimi oltre alla voce growl danno spazio ad un'altra che lavora con un registro lirico maschile molto teatrale. 

E' interessante cercar di capire la storia, la cultura ed il senso d'appartenenza attraverso la musica. Lo è, perché un linguaggio universale come quello che ci appassiona, fa capire tanti aspetti sociali che altrimenti rimarrebbero sommersi. Ed è ancora più interessante farlo nel panorama attuale dove globalizzazione e segregazione sembrano essere due personaggi destinati ad essere sempre in conflitto cercando di annullare l'un l'altro. Personalmente credo che la verità sta in mezzo, che è impossibile rinunciare alla dimensione globale del mondo ma che è essenziale salvaguardare, e diffondere, l'aspetto storico e tradizionale di ogni posto. Per quello un lavoro come questo Split di Kjeld/Wederganger può avere un peso interessante e ci può portare a capire tante cose di questa complessa ragnatela chiamata Europa.



Vi segnalo due brani, uno a testa, per farvi un'idea di cosa c'è in questo Split.
Per quanto riguarda i Kjeld scelgo Wanskepsel, brano che permette di vedere certe contaminazioni musicali che non sfigurano assolutamente l'intenzione della band ma regalano sfumature molto particolari. Gran parte di questa caratteristica viene giustificata dal lavoro delle chitarre. Lavoro che si traduce nel riuscir a dare delle pennellate dark ambient molto piacevoli. Prendendo molte di queste linee potremmo perfettamente affermare di essere di fronte ad un lavoro blackgaze.
Invece per quanto riguarda i Wederganger la mia selezione ricade su Laaiende Haat. In questa canzone si può capire perfettamente lo scopo della band. C'è questa dimensione epica ed antica che s'incrementa con un'ossessiva linearità della parte musicale. Sembra a tutti gli effetti di essere di fronte ad un racconto epico.



Questo Split è il perfetto riassunto della situazione mondiale. Da una parte è globale, perché ormai un genere come il black metal non conosce frontiere, ma d'altra parte è volutamente locale. Ancora una volta l'incantesimo della musica funziona ed il linguaggio universale fa da trasporto ad un messaggio che, difficilmente, avrebbe potuto trovare una tribuna più ampia.

Voto 7,5/10
Kjeld/Wederganger - Split
Ván Records
Uscita 27.01.2017